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LeBron James e Cristiano Ronaldo: un bilancio della loro stagione

Con l’eliminazione della Juventus in Champions League si chiude il capitolo primo delle appena iniziate e si presume ultime avventure di due grandi campioni, Cristiano Ronaldo in bianconero e LeBron James in gialloviola, già di suo in vacanza.

La Juve ha preso Ronaldo per vincere la Champions. Missione fallita.

I Lakers hanno preso LeBron per tornare al vertice, magari gradualmente, iniziando da playoff competitivi. Missione fallita.

Come è stato possibile ? Per diversi fattori. Le due storie in parallelo sono talmente simili che meritano una riflessione.

L’estate scorsa, al termine delle rispettive stagioni, non era scontato che entrambi rimanessero nella stessa squadra come del resto che andassero via. Qualcosa in ogni caso si era deteriorato e per tutti e due è nato l’impulso forte di iniziare un nuovo ciclo. L’ultimo.

Hanno 34 anni, altro elemento in comune, essendo nati (LeBron il 30 dicembre 1984, CR7 il 5 febbraio 1985) a poco più di un mese di distanza. Per forza di cose dunque questo iniziato quest’anno potrebbe e dovrebbe essere l’ultimo grande show di due carriere eccezionali.

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MLB

L’ottima partenza dei Mariners

Un record di 13-2, la vetta dell’intera lega e un’esplosività offensiva incontrastabile grazie a 8 run per game, alla leadership per rbi e ad una striscia (appena conclusa) per fuori campo: tutto questo ha rappresentato l’inimmaginabile inizio di regular season per Seattle.

Imprevisto soprattutto alla luce di una offseason al risparmio, caratterizzata dalla riduzione salariale successiva alle cessioni eccellenti di Cano (Mets) e Segura (Phillies) ma soprattutto quelle al lancio di Paxton e di Edwin Diaz e per l’assenza prolungata di un punto fermo dell’infield come Kyle Seager.

E’ presto per voli pindarici anche se l’American League finora sembra più umana e clemente rispetto al passato con i campioni in carica Red Sox in una crisi senza precedenti e gli Yankees in rodaggio stracolmi di infortuni. L’unica che dopo uno start a rilento sembra aver imboccato la solita strada dominante è Houston. Tra le squadre di seconda fascia ma accreditate a giocarsi la postseason i Rays marciano invece spediti.

Alla luce di tutta questa incertezza ed equilibrio i Mariners possono benissimo dire la loro, senza aver nulla da perdere e con pochi obblighi. Il lineup attuale può considerarsi come un vero gruppo di bomber, superiore anche a quello di New York sponda Bronx, con 42 fuori campo in 20 partite consecutive che se proporzionati ad un intero campionato vorrebbero dire 350 su 162 match e bye bye al record Yanks di 267!

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NBA

Celtics – Pacers: Gara 2 live from TD Garden

Gara 2 contro gli Indiana Pacers è una prova importante per i ragazzi di Stevens. Dopo una gara 1 vinta più per demerito dell’avversario che per meriti propri, è fondamentale per i Celtics dimostrare che la squadra è capace di elevare il proprio livello di gioco, requisito necessario per aspirare ad un lungo cammino nei playoffs.
Nei dintorni del TD Garden, sono tanti i giovani in verde che passeggiano nei parchi circostanti e affollano i pub: la primavera è arrivata qui a Boston e dopo il più classico degli inverni stile New England, è palese la voglia di tutti di trascorrere finalmente qualche ora all’aria aperta. Non ci stupiamo dunque, anche vista la qualità di gioco mostrata in gara 1, che all’interno del Garden si intraveda qualche posto vuoto in tribuna.

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NFL

Eligibles, quinta settimana: affari, storie e curiosità dalla free agency

Oramai ci siamo, il draft è alle porte: fra una settimana esatta il 2019 NFL inizierà a prendere forma e, per quanto ci riguarda, mesi e mesi di chiacchiere finalmente lasceranno spazio a scenari e scelte in grado di alterare il corso della storia del nostro amato sport… e della leggermente meno amata lega.
Non che le ultime settimane siano state prive di emozioni, però come potrete facilmente immaginare è infinitamente più stimolante e divertente discutere su quanto successo a Nashville il prossimo fine di settimana piuttosto che segnalarvi che Ty Montgomery abbia firmato con i New York Jets! Per questa settimana, però, dovrete accontentarvi ancora una volta di Eligibles, che fra sette giorni proverà a raccontarvi le ultime novità in vista dei tre giorni che tutti stiamo aspettando: sto mettendo decisamente le mani troppo avanti, concentriamoci su quanto successo negli ultimi sette giorni.

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NBA

Portland Trail Blazers vs Oklahoma City Thunder: Preview

Il canestro quasi sulla sirena di Paul George contro i Rockets ha regalato un’occasione più unica che rara ai  Thunder, soprattutto dopo l’incostante ultima fase di regular season nella quale parecchio terreno era stato perduto e i galloni da vice Warriors erano andati smarriti.

Il ventinovenne da Fresno State, nella stagione della vita e della maturità, nonostante una spalla dolorante ha aggiunto un tassello importante alla sua fantasmagorica annata fatta di un incontenibile gioco offensivo unito a solidità e aggressività difensiva.

Con la sua conclusione vincente fuori dall’arco ha evitato ai suoi compagni non solo un insostenibile primo turno contro i campioni in carica ma ha concesso loro anche la possibilità di entrare nel tabellone finale dalla parte più appetibile, quella cioè proprio all’opposto di KD e del “barba”, raggiungendo la sesta piazza finale con la quale andare ad affrontare i Blazers.

Ciò non vuol dir nulla ovvio, specie perché il team di Terry Stotts rappresenta ormai una solida realtà nell’intero panorama NBA e l’arrivo in postseason con il traguardo delle 50 W è da anni quasi una prassi. Inoltre un gruppo un po’ troppo spesso monodimensionale e affidato solo alle individualità dei suoi Big Three Lillard-McCollum-Nurkic è riuscito nel tempo ad allargare i propri orizzonti e a turno i vari Aminu, Harkless e dalla panca il più giovane dei Curry e Layman hanno contribuito ai buoni risultati del club.

Ovviamente il terribile e struggente infortunio al bosniaco e gli acciacchi che mettono in dubbio la reale efficienza di CJ, uniti a un ritorno alle origini per efficienza difensiva (17° posto) e ad una storica incapacità a battagliare nelle partite di playoff non lasciano spazio a chiacchiere: Portland è la squadra che chiunque arrivato dal quinto posto in giù avrebbe voluto incontrare.

Dal canto loro però i Thunder non possono ritenersi soddisfatti del loro campionato, partito a differenza dei Blazers – quasi sempre costanti – un po’ sottotono a seguito dell’arrivo di Schroder che ha necessitato di un periodo di ambientamento. Dopo poco però Donovan si è ritrovato gli stessi punti a partita di Melo ma un attaccante/difensore veloce e sesto uomo coi fiocchi in più.

Per molto tempo Westbrook e soci sono rimasti ai vertici sfiorando la leadership dell’Ovest rimanendo di un’incollatura dietro ai Nuggets prima e a Golden State dopo, “sciogliendosi” come accennato nella fase decisiva, salvati appunto nel finale dal loro MVP. Questo lascia molti dubbi sull’andamento della serie, perché se da un lato OKC arriva più sana (spalla di George permettendo) rispetto ai rivali è anche vero che la costanza di rendimento non è stato proprio il forte dei ragazzi di coach Billy.

“Quando Russell fa il one man show i Thunder perdono” è il luogo comune che purtroppo spesso corrisponde a realtà; notiamo infatti che un gioco offensivo più fluido fatto di molte varianti e coinvolgendo tutto l’attacco ha portato tante volte nelle fasi prima citate ad ottimi risultati offensivi rispetto agli anni passati, quando si puntava sostanzialmente solo sull’ego di Westbrook, George e Anthony e sull’abilità nel recupero palla e contropiede, ancor oggi specialità della casa.

L’assenza di Roberson non basta da sola a giustificare il crollo nelle statistiche difensive dopo che nel primo mese e mezzo la retroguardia era ancora una volta la punta di diamante delle strategie tecniche di Donovan. La ferocia nei raddoppi un po’ troppo spesso è stata seguita dalla pigrizia nel lasciare praterie sotto al pitturato.

I precedenti stagionali per di più non sorridono ad Oklahoma, sweeppata dai rivali, che possiedono il secondo miglior attacco NBA dall’All Star Break in poi.

L’assenza di Nurkic pesa come un macigno in entrambi i lati del campo e come detto i postumi dell’infortunio di McCollum potrebbe penalizzarlo e diminuirne la forza spingendo così veloci e aggressivi marcatori come RW, George e Grant a forzare palle perse (secondi dietro ai Pacers).

Portland, ultima per TO% ma poco sopra ai rivali per punti subiti a partita si ritrova dunque senza il miglior rimbalzista che abbassava notevolmente le percentuali avversarie nei pressi del ferro e con un Zach Collins troppo esile per contrastare due forze della natura come Adams e Noel.

L’arrivo di Kanter, iconico personaggio fuori dal campo, si è perciò dimostrato azzeccato, col turco a performare un’ultima parte di stagione regolare a livelli top. Nurkic non è purtroppo rimpiazzabile ma quel che si è chiesto al prodotto di Kentucky nell’ultimo periodo è stato di prendersi più responsabilità tecniche rispetto al passato e le risposte sono state egregie: 20 punti di media, movimenti in pivot rapidi e veloci, un ottimo gioco in post basso ed una incontrastata forza sotto canestro con 13 rimbalzi a partita. Lui si, anche perché è un ex, può dire la sua!

La serie è molto difficile da pronosticare; con i Blazers a giungere in salute all’appuntamento avremmo puntato su di loro anche perché gli stessi Thunder, oltre a un campionato scostante riaddrizzato per il rotto della cuffia, non è che abbiano grandi ricordi dell’ultima postseason, spazzati via da una squadra organizzata come Utah.

Westbrook dovrà condividere con tutti i compagni in rotazione le gioie e dolori di ogni singola partita per riuscire a portar a casa la serie, anche in 6 sfide, dall’altra parte un All Star di primissimo livello come Lillard avrà il palcoscenico e le responsabilità tutte per sè cercando di consacrarsi definitivamente.

 

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NBA

Golden State Warriors vs Los Angeles Clippers: Preview

Se c’è una sfida sulla carta meno equilibrata tra le otto in programma per stabilire chi arriverà alle semifinali di conference è quella tra i pluricampioni di Golden State e i cugini californiani dei Clippers.

La squadra con Steve Kerr al timone di comando ha probabilmente vissuto l’annata più difficile tra infortuni, litigi e un leggero e fisiologico appagamento che hanno caratterizzato una buona parte della stagione mentre la franchigia di Los Angeles è arrivata con netto anticipo ai playoff smentendo proiezioni e quote degli analisti che prevedevano 14 vittorie in meno di quelle ottenute (48), dopo aver in pratica disputato due tornei con due squadre diverse.

La prima è stata anche in testa alla classifica ad inizio anno e la seconda, rivoluzionata dalle trade in midseason che lasciano buone opportunità di rafforzamento per il futuro, è riuscita sorprendentemente a mantenersi ai vertici portando a casa un obiettivo che sembrava perduto dopo simili sconvolgimenti.

Nonostante tutto i Warriors hanno conquistato l’ennesimo primo posto ad Ovest (57/25) e relativo fattore campo fino alle eventuali Finals. Ciò a nostro avviso rappresenta una mostruosa dimostrazione di superiorità verso tutte le rivali e la consapevolezza e convinzione (se qualcuno lo avesse dimenticato) che i ragazzi della baia oltre ad essere i più forti a livello tecnico lo sono ancora a livello emotivo e mentale.

Analizzare le chiavi tattiche per evitare uno sweep previsto da tutti è abbastanza facile viste le qualità tecniche più limitate (ovviamente) di una squadra rispetto all’altra. Quel che ci ritorna in mente è la sfida iniziale tra le due franchigie che da un lato segnò l’ennesima prova di buon basket da parte dei Clippers, fisicità sotto al ferro e una panchina profonda come nessuno poteva immaginare, dall’altro le difficoltà enormi dei campioni, in rodaggio atletico, privi del miglior regista al mondo, in attesa di sapere se Cousins sarebbe rientrato e in quale condizione e con un paio di galli nel pollaio a fare la voce grossa e ad insultarsi sul parquet.

Come preventivato un po’ da tutti l’unica medicina utile a sbollire rabbia, sfiducia e depressione sportiva è vincere, e i gialli dell’Oracle Arena non sanno far altro.

A mesi di distanza da quella partita gli uomini di Kerr sono esplosi grazie ad una serie di fattori che li pongono oggi e ancora una volta come i netti favoriti per arrivare a giocarsi l’anello e vincerlo di nuovo mentre il team di Doc Rivers, nonostante come detto abbia cambiato vestito più volte, ha mantenuto le stesse peculiarità di gioco.

Boogie non può ostentare ancora la storica supremazia fisica dei tempi di New Orleans ma il suo inserimento è stato a nostro avviso decisivo, sia a livello psicologico che tecnico. Green ora non è più solo come leader motivazionale, il ferro ha un vero rim protector e le realizzazioni da mid range e il gioco in post si arricchiscono di un manone caldo ed educato, dignitoso anche fuori dall’arco. Inoltre Cousins dà al quintetto base una valenza da Big Five visto l’alone da superstar e l’esagerata personalità che traspare da ogni suo atteggiamento.

A parte l’affaire Durant/Green è anche giusto sottolineare come negli altri precedenti stagionali i Warriors (rinforzati di recente con Bogut) abbiano messo in chiaro la supremazia vincendo tutte le altre sfide.

Il ritmo alto e costante è quello a cui tutti devono attingere per mettere in difficoltà Curry e compagni, così come il gioco in transizione che tanto piace ai Clippers. Puntare a rallentare la contesa sarebbe un suicidio vista la classe di Steph, Durant e Thompson; asfissiare nella fase difensiva Golden State e renderla pigra è l’unica arma a disposizione per chiunque per tentare di fare partita patta, cercando così di sfruttare a proprio favore gli errati posizionamenti che sovente si verrebbero a creare. Il tutto dando per scontato di perdere il minor numero di palloni possibili per non esporsi al contropiede letale che ha reso celebre Golden State, la cui fase offensiva è praticamente ingestibile!

La panchina di L.A. dovrà generare questo tipo di “aggressività veloce” più a lungo possibile dando a Lou Williams le chiavi di creare dal nulla situazioni di qualità e ad Harrell il compito di limitare i danni dai giochi in post dei rivali sfruttando la sua stazza ma anche la rapidità difensiva. Lui e Zubac proteggono molto bene il pitturato ma rispetto agli avversari di ruolo difettano di un tiro poco credibile e potrebbero per questo essere “battezzati” dal coach avversario.

In avanti Gallinari sarà il vero deus ex machina di Doc Rivers, che già prima dell’addio di Harris ne aveva decantato le lodi come regista offensivo, capace di produrre da qualunque lato contesti interessanti, sia in conclusione, circolazione palla e assistenza. I rookie Shamet e Gilgeous-Alexander, insieme a Beverley, verranno seguiti con la lente di ingrandimento per vedere come supereranno l’impatto playoff dopo un’ eccellente regular season, col primo esploso dopo la trade con Phila e il secondo, lontano dal prototipo classico della point guard vista la lunghezza e ampiezza alare, a rischio implosione contro scattisti come Thompson e Curry.

Quest’ultimo, la cui caviglia mette un po’ di apprensione, ha fatto capire per l’ennesima volta come stanno le cose e quanto sia, oltre che un grandioso campione, anche il vero leader dello spogliatoio. Può stare o no simpatico  ma il suo ritorno in campo è coinciso con il recupero in classifica, un miglioramento offensivo con le solite paurose statistiche di squadra e un’armonia di gruppo (vera o presunta) ritrovata. Inoltre i suoi 27.3 per game sono il secondo miglior risultato di una straordinaria carriera e la sua stagione, messa leggermente in ombra dall’asfissiante one man show di Houston, sarebbe degna di un’altra candidatura a MVP.

Evitare il 4-0 darebbe al campionato dei Clippers ancor più valore, passare il turno sarebbe miracoloso.

Come detto giocare quattro quarti limitando con pressing asfissiante i piccoli Warriors è impresa ardua anche perché gli eventuali raddoppi libererebbero Durant, gia immarcabile di suo; allo stesso tempo allargare le maglie darebbe a Cousins la possibilità di sprigionare il suo talento in post e dal mid range.

In attacco le transizioni potrebbero cozzare contro la forza fisica dello stesso Boogie e Green e un ritmo eccessivo sarebbe a rischio palle perse e contropiedi avversari. La second unit tanto rinomata di Rivers diverrebbe ininfluente se il quintetto base di Golden State iniziasse i match ad alto tasso realizzativo.

Infine l’esperienza di chi domina da anni ogni tipo di confronto, sia di regular season che ad eliminazione diretta, è spropositata rispetto a chi si affaccia sul palcoscenico più importante per la prima volta o a distanza di tempo.

 

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NBA

Playoffs NBA 2019: i pronostici del primo turno

Playoffs NBA: sabato notte si parte.

Pur dopo una regular season poco impressionante, i Warriors sembrano ancora irraggiungibili, forse per l’ultima volta. Ma nuove contender si affacciano all’orizzonte, specialmente da Est: Giannis reclama il suo posto nell’Olimpo, mentre Kawhi appare l’unico umano capace di fermare i Guerrieri, come ha già dimostrato a tratti ai tempi di San Antonio. Ma come sempre l’Ovest sarà iper competitivo, da Denver a Oklahoma City passando per Houston che ha ancora il dente avvelenato.

Queste sono le nostre impressioni prima che tutto inizi: buon divertimento!

Milwaukee Bucks – Detroit Pistons

Max: l’impatto sotto i tabelloni dei Pistons non è da sottovalutare, ma i Bucks sono talmente organizzati e carichi che faranno fatica anche a perderne una soltanto. 4-0

Giorgio: i Bucks hanno l’MVP in pectore, il miglior record della Lega e un sistema di gioco straordinariamente efficiente. I Pistons hanno agguantato i playoff per il rotto della cuffia (perfino immeritatamente se vogliamo), hanno Blake Griffin acciaccato e Reggie Jackson come capo cordata. Ma di cosa stiamo parlando esattamente? No contest rapido e avanti un altro. 4-0

Andrea: il commovente impegno di Blake Griffin meriterebbe qualcosa di più. Non si è distinto per professionalità negli anni dei Clippers, ma ha accettato la trade mettendo la testa bassa e continuando a migliorare. La squadra però è quella che è. C’è Reggie Jackson. Quindi è sweep per quegli altri – a maggior ragione perché non credo che i Bucks imploderanno ai playoff come in molti suggeriscono. 4-0

Francesco: Milwaukee accede alla post-season forte di sessanta vittorie e di un probabile MVP in Giannis Antentokounmpo, con un sistema moderno e un gruppo rodato ed efficiente, mentre Detroit è arrivata a giocarsela in modo un po’ rocambolesco, perdendo sette delle ultime undici partite. Pur schierando Blake Griffin, Andre Drummond e Reggie Jackson (e avendo in panca un COY come Casey) i Pistons saranno poco più di uno sparring partner per i ragazzi di coach Budenholzer, dai quali li separa un divario organizzativo abissale. 4-0

Toronto Raptors – Orlando Magic

Max: primo turno di tutto riposo per i Canadesi, che potrebbero vincere la serie anche schierando solo il secondo quintetto. Tutto questo senza nulla togliere all’enorme lavoro fatto da Clifford in Florida con una squadra di scappati di casa, gente senza arte nè parte che si è sbattuta tutto l’anno e alla fine ci ha creduto. Tanto di cappello, ma ora con Kawhi si è finito di scherzare. 4-0

Giorgio: la bella rincorsa finale dei Magic, guidati da uno spettacoloso Nikola “I’m in Contract Year” Vucevic, li ha portati a raggiungere una postseason che solo fino ad un mese fa sembrava un miraggio. Toronto però è squadra superiore sotto ogni punto di vista e nel primo anno senza lo spauracchio LBJ ha tutte le intenzioni di andare fino in fondo. Simply too much. 4-0

Andrea: Toronto è forse l’unica, solida certezza della griglia playoff a est del Mississippi. Non si accontenteranno di niente di meno della finale, e hanno l’esperienza necessaria per macinare gli avversari di più bassa caratura (come sarà il caso per questi Magic, finiti lì un po’ per caso). Vedremo più avanti, Toronto è attrezzatissima per le Finals e senza vedersi davanti il faccione di LeBron al secondo turno l’aria dell’Ontario potrebbe rasserenarsi. 4-0

Francesco: Se per Kawhi Leonard e Toronto il bello inizia ora, per i Magic di Vucevic l’obiettivo stagionale era semplicemente approdare ai Playoffs; una differenza d’ambizioni che lascia poco spazio per un pronostico aperto. Sarà viceversa una serie importante per alcuni giocatori di Orlando che avranno l’opportunità di misurarsi con il basket NBA “vero”, mentre per i Raptors questo primo turno costituirà un utile rodaggio in vista delle battaglie che li attendono dal secondo turno in poi. 4-0

Philadelphia 76ers – Brooklyn Nets

Max: lo dichiaro subito, sono innamorato perso di questi Nets, di come sono stati resuscitati dalla nuova dirigenza scuola Spurs, dai colori, dallo stile di gioco, dall’anima della squadra. Nel loro piccolo, hanno molto più talento dei Magic, ma questo non vuol dire purtroppo che siano già pronti ad impensierire Philadelphia in una serie di Playoffs. Peccato. 4-1

Giorgio: I Nets sono forse la più bella sorpresa della stagione e potrebbero strappare una gara in casa di puro entusiasmo giovanile, magari approfittando di un Embiid che potrebbe iniziare la serie in tribuna. Ma i Sixers hanno semplicemente troppa qualità ed esperienza per non prevalere alla distanza. P.S. Il duello Boban Marjanovic vs Jarret Allen promette spettacolo puro. 4-1

Andrea: I Sixers sono un’altra grande incognita, alla fine tutto il talento di cui dispongono ha cominciato a fruttare, ma coi malumori di Butler c’è paura che il giocattolo si rompa da un momento all’altro. I Nets sono clienti scomodi perché, all’opposto, non hanno nulla da perdere e vengono da un brillante finale di stagione. Con un Embiid così dominante, però, non si scende a compromessi. 4-2

Francesco: Joel Embiid e Philadelphia sono gli ovvi favoriti del pronostico, perché Brooklyn è una franchigia encomiabile per idee e professionalità, ma dispone di un roster che non definiremmo una cornucopia di talento. Nelle sue vesti di GM Elton Brand ha costruito un quintetto a base di star-power, aggiungendo Tobias Harris e Jimmy Butler a Simmons e Embiid. La struttura dei Sixiers potrebbe pagare dazio più avanti nei Playoffs, quando la pochezza della second-unit verrà esposta, ma contro Russell e Kurucs dovrebbe bastare la forza d’urto dello starting five. Restano da appurare le reali condizioni fisiche di Embiid (la sua assenza cambierebbe completamente la serie) e la sensazione è che coach Atkinson sia due piste avanti rispetto a Brett Brown. 4-2

Boston Celtics – Indiana Pacers

Max: Finalmente una serie ad Est con un minimo di rischio upset. Ma solo un minimo, perchè i BiancoVerdi hanno Irving, e Indiana… Collison. O Boston implode, oppure l’upset non si vedrà neanche in cartolina. 4-2

Giorgio: i Celtics sono favoriti, ma soltanto perché i Pacers sono orfani del povero Oladipo. Serie comunque tirata, che sarà soltanto l’antipasto di una postseason che si preannuncia decisamente complicata per quelli in verde, non tanto per la qualità del roster (che è altissima) quanto per uno spogliatoio che sembra sempre ad un millimetro dall’implosione. 4-3

Andrea: Boston ha vissuto una stagione deprimente, puntava molto più in alto, ma paradossalmente ai playoff potrebbe fare meglio – negli scontri diretti con le big ha uno score invidiabile. Però mancherà Marcus Smart, che è l’anima di questa squadra, mentre i Pacers hanno già fatto gli straordinari senza Oladipo – che è l’anima e pure il corpo. Immagino una serie combattuta ma non troppo spettacolare, i Celtics dovranno cercare di uscirne con entusiasmo. 4-3

Francesco: Orfani di Victor Oladipo, i Pacers si sono dimostrati resilienti e capaci di ripetere l’ottimo 2017-18, confermando la bontà tecnica del progetto portato avanti ad Indianapolis. Boston è una franchigia di ben altra levatura, ma l’infortunio di Marcus Smart ha generato una certa irrequietudine presso chi ne conosce il peso emotivo (e difensivo) per i bianco-verdi, in previsione di una serie che non sarà vinta di puro talento. Indiana ha costruito le sue fortune battendo con costanza le squadre abbordabili, mentre la nuova coppia Horford-Baynes assemblata da coach Stevens ha ridato slancio alla squadra, e dovrebbe bastare per avere la meglio di Sabonis e compagni. 4-2

Golden State Warriors – Los Angeles Clippers

Max: Dopo una stagione sotto il par per i loro standard, i Warriors si ripresentano in questi playoffs con lo stesso personale delle ultime 4 stagioni più un Cousins quasi in salute. I Clippers non avranno timore ad affrontarli in partite ad alto ritmo, ma non è detto che sia un bene, per loro. 4-1

Giorgio: Non è chiaro se esista qualcuno in grado di fermare questi Warriors, ma è decisamente improbabile che possano farcela i Clippers. La grande stagione di Gallinari e soci (seppur finita in calando) merita comunque il massimo rispetto, mentre per i Dubs questa serie servirà soltanto come riscaldamento in attesa di avversari più attrezzati al confronto. 4-1

Andrea: Bella la storia dei Clips, avvincente il modo in cui hanno difeso il posto nella griglia playoff e grandi speranze per il Gallo in azzurro, ma Golden State ha altro a cui pensare e non credo che si distrarranno al punto di cedere una partita. Avanti un altro. 4-0

Francesco: Recentemente rullati in RS con un distacco finale di 27 punti, i Clippers di Rivers e Gallinari (per quanto encomiabili e sorprendenti) sono probabilmente l’avversario che Steve Kerr si augurava di incontrare al primo turno. I Dubs hanno vinto tre dei quattro incontri stagionali, e l’unica flebile speranza per Los Angeles è che G-State si presenti scarica mentalmente al cancelletto di partenza. Difficile che succeda, anche considerando le 16 vittorie su 18 partite con cui Curry & Co. hanno inaugurato le loro recenti scorribande ai Playoffs. 4-1

Denver Nuggets – San Antonio Spurs

Max: Prevarrà il bel gioco di Denver o il sistema Spurs? Jokic riuscirà ad essere efficace anche nei playoffs o avrà la meglio Aldridge nello scontro diretto? Teoricamente San Antonio è più corta e DeRozan non è esattamente un giocatore da post season, ma di Popovich ce n’è uno solo. 4-3

Giorgio: Giovani contro vecchi. Freschezza contro esperienza. I Nuggets di Jokic meritano solo applausi per la stagione disputata, ma per far fuori Popovic in una serie alle sette partite potrebbe non bastare. Gli Spurs troveranno il modo di “rubare” una delle prime due gare in Colorado e di mantenere il fattore campo fino alla fine. Almeno secondo me, che notoriamente nei pronostici non ci prendo mai… 2-4

Andrea: Onore al merito per San Antonio, altra qualificazione guadagnata contro i favori del pronostico, ma Popovich ha anche beneficiato del livello calante della competizione nelle fasce medio-basse della Western Conference. Questi Nuggets sono all’esordio playoff e rischiano di sudare più del dovuto coi veterani in neroargento, ma non credo che abbiano conquistato il secondo posto per caso. Si inizierà a capire, però, se la pallacanestro di Jokic e compagni può essere adatta anche alla postseason. 4-3

Francesco: Apprezzatissimi dalla critica, divertenti e vincenti, i Denver Nuggets inizieranno i Playoffs con un’autentica prova del fuoco: San Antonio non è più una contender, ma resta una squadra pericolosa, ben allenata ed esperta. Coach Malone ha fatto autoironia parlando dell’argenteria di Popovich, ricordando che il suo unico anello è quello del matrimonio, e questo rende l’idea di come Denver (prima apparizione ai PO dal 2013) non si senta affatto favorita, a dispetto della seconda piazza ad ovest. Il rendimento di Nikola Jokic sarà l’epicentro della serie, ma occhio anche all’esperienza di Millsap e ai possibili passaggi a vuoto di DeRozan. 3-4

Houston Rockets – Utah Jazz

Max: Discreta gatta da pelare per i Rockets, che comunque sono cresciuti per tutta la stagione ritrovando almeno in parte l’efficacia difensiva della passata stagione. Sull’attacco niente da dire, palla ad Harden e Paul e pedalare. I Jazz come tutte le squadre ben organizzate e povere di talento nei Playoffs faranno fatica, è ingiusto ma è così. 4-1

Giorgio: E se… Harden è un mostro e i Rockets sono pur sempre (più o meno) gli stessi che meno di 12 mesi fa sono andati ad un bicipite femorale di distanza (forse) dal detronizzare Golden State. Ma occhio perché Quinn Snyder è un cliente (molto) scomodo e la Energy Solutions Arena il campo più caldo della NBA. L’uomo barometro della serie? Joe Ingles. Vado con l’australiano e con il clamoroso upset. 2-4

Andrea: Utah è un’ottima squadra ma Donovan Mitchell si è già giocato il fattore sorpresa e non c’è molto che coach Snyder possa opporre ai Rockets che, in un modo o nell’altro, dopo l’inizio disastroso si presentano ai playoff con una situazione ideale. Dateci la rivincita coi Warriors, please. 4-1

Francesco: Complice il percorso accidentato di Houston, quella che era stata nel ’18 una semifinale di Conference, si ripropone a 12 mesi di distanza già al primo turno, e saranno scintille tra Harden e Mitchell, tra Gobert e Capela, oltre che tra due allenatori intriganti per capacità di costruire una “cultura” (e in fondo, anche questa può essere una lettura, sia pure un po’ scontata: la difesa di Snyder contro l’attacco di D’Antoni). Terrà banco anche la tenuta fisica del rientrante Derrick Favors, e, per Houston, il rischio è di scontare sul più bello tutta la fatica (fisica e mentale) di una stagione trascorsa rincorrendo. 4-3

Portland Trail Blazers – Oklahoma City Thunder

Max: Scommettere contro i Blazers ai playoffs è troppo facile, dopo la brutta figura rimediata la passata stagione contro dei Pelicans non irresistibili. Questi Thunder a livello di quintetto possono essere stellari, a livello di panchina molto meno. La sfida nella sfida Lillard – Westbrook sarà spettacolare, quella Kanter – Adams un filino meno. 2-4

Giorgio: Il bruttissimo infortunio di Nurkic ha messo una pietra tombale sui sogni di gloria dei Blazers, spiace soprattutto per Lillard che sembra letteralmente perseguitato dalla sfiga. I Thunder sono incostanti, brutti e confusionari. Ma difendono come pazzi e la coppia Westbrook + George può davvero fare sfracelli. Sono tre anni che metto su OKC il mio dollaro “sbagliato” per la finale NBA, sarà finalmente la volta buona? 1-4

Andrea: Spiace pronosticare un’altra uscita di scena prematura dei Blazer, identica all’imbarcata presa l’anno scorso dai Pelicans, ma l’infortunio di Nurkic è uno di quei colpi che ti toglie il fiato. Portland va avanti a forza di regular season solidissime, ma pecca in entusiasmo e ha già dimostrato di subire molto questi cali di umore. OKC, al contrario, non ha mai convinto del tutto in queste 82 partite ma ha sempre dato l’impressione di avere qualche chip da parte, da mettere sul piatto nei playoff, e potrebbero mangiarsi i Blazers semplicemente col maggiore agonismo. Il Paul George visto quest’anno merita una deep run, considerando anche che Golden State e Houston sono dalla parte opposta del tabellone. 0-4

Francesco: Sarà Portland ad avere il fattore campo, ma lo sweep rifilato da OKC ai Blazers nel corso della Regular Season parla chiarissimo: i favoriti, anche e soprattutto dopo il terribile infortunio dello sfortunato Jusuf Nurkic, sono Russell Westbrook e compagni, a partire dal clamoroso Paul George di quest’annata vissuta in stato di grazia. L’impressione è che la tenzone abbia un padrone tecnico abbastanza chiaro (per quanto Stotts sia probabilmente migliore di coach Donovan), e servirà davvero una serie devastante da parte di Lillard & McCollum per dare ai Trail Blazers una chance di competere. 1-4

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Toronto Raptors vs Orlando Magic: Preview

Una contender habituè dei playoff contro un underdog di inizio stagione: si racchiude così Raptors-Magic, serie tra un team che ha dominato in largo e in lungo la regular season, insieme ai Bucks, e una squadra da sempre in rampa di lancio ma arrivata più volte al mese di marzo senza più speranze di proseguire la corsa.

Attenzione però: se i Magic sono arrivati a destinazione con un dignitosissimo settimo posto totale a Est, un record finalmente sopra al 50% (42/40) e la vittoria nella Southeast lo devono per lo più ad un gruppo fatto di veterani arrivati alla maturazione definitiva e non a giovani rivelazioni come ad esempio Isaac ma soprattutto Bamba.

Lo scatto d’orgoglio delle ultime settimane è avvenuto grazie alla costanza di un giocatore ormai affermato come Nikola Vucevic, aiutato nell’impresa dai sempre costanti D.J. Augustin, Evan Fournier e ad un sesto uomo coi fiocchi come Terrence Ross, letteralmente decisivo nello sprint finale coi suoi 23 di media a partita nella fase più calda della stagione, dimostrando così una inusuale mentalità vincente e grande personalità. Sempre funambolico in attacco ma molto scostante nelle altre fasi Aaron Gordon.

Dal canto loro i Raptors arrivano all’esame della maturità, quello decisivo per la loro storia. I campionati passati fatti di record abbattuti, primi posti di conference e un costante spettacolo sul parquet non bastano più: si punta all’obiettivo minimo delle Finals.

Negli scontri diretti di questa annata registriamo una vittoria al fotofinish di Toronto grazie a Danny Green, a seguito di un’eroica rimonta degli avversari a fine novembre, un dominio Magic dopo Natale dove lasciarono gli avversari al 29% dal campo e col maggior scarto di punti di tutto il 2018/19, un’altra W in trasferta per Ross e compagni il 24 febbraio con l’ex Raptors dominante ed infine i canadesi ad interrompere di recente la striscia vincente degli avversari grazie ai 29 del solito Green.

Se ci fosse logica nei trascorsi tra le due compagini potremmo concludere che sarà una serie equilibrata; dal nostro punto di vista però sarà difficile che Toronto si lasci sfuggire il secondo turno. Quel che è certo è che i ragazzi di Clifford faranno soffrire quelli di Nurse.

Il ritorno in postseason di Leonard sarà la chiave di tutta la serie, l’ago della bilancia che dovrebbe risultare decisivo per i suoi, più che per la fase difensiva – sempre di livello – per quella offensiva. Infatti con lui a sviluppare un gioco più eclettico in avanti coi classici movimenti cadenzati ma immarcabili, si libererano spazi perimetrali per i tiratori invece in difficoltà se pressati (Lowry, Green, VanVleet, Lin e Siakam) coinvolgendo inoltre pure in post il gruppo di lunghi probabilmente dalla mano più calda da fuori di tutta la lega (lo stesso Siakam, Ibaka, Gasol).

Saranno importanti e cruciali però le sue percentuali dal campo e quale stratagemma Clifford (tre apparizioni ai playoff su sei da head coach) studierà per limitarlo. E’ proprio la sua esperienza e abitudine al palcoscenico da playoff il motivo della mossa a sorpresa di Masai Ujiri nella offseason 2018.

Ci sentiamo di nominare ancora DG#14 come altra chiave della sfida per i suoi, vuoi per il feeling col vecchio compagno sperone, per l’indottrinamento da Pop e l’affidabilità a marcare i veloci top scorer avversari, ma anche perché, come accennato, è proprio contro i Magic che riesce ad esprimersi al meglio (14 pts, 50% da tre, 4.5 reb e 2 assist per game).

Ribadiamo per Orlando Vucevic e Ross come pedine per scardinare la difesa avversaria. Il primo ha disputato la stagione della vita da tutti i punti di vista, fino a divenire il primo All-Star del club dai tempi di Dwight Howard (2012) ed è oggi un “7-footer” versatile in ogni zona del campo e quindi difficilmente contrastabile sia sotto al ferro che da fuori. Vuc è migliorato anche come uomo squadra e regista, aiutando il coach a limitare proprio quella che è una delle lacune principali da anni qui in Florida. Proprio in uno degli head to head stagionali con i prossimi avversari ha sfiorato la tripla doppia.

Il secondo è l’unico giocatore che da profondità al roster e potrebbe risultare una variabile impazzita.

Negli sport americani fare previsioni è sempre sconsigliato. Certo è che la profondità di un team voglioso di arrivare in fondo e arricchito di due grandi profili da win or go home ad inizio anno, da un esperto e forte top center come Marc Gasol ed un velocista al nono anno NBA come Lin fa pendere i favori dei pronostici tutti per i canadesi.

Raddoppiare Vucevic e Ross lasciando liberi Augustin, Fournier e Gordon è una cosa, farlo con Leonard e Siakam lasciando però spazio a Gasol, Green, Ibaka o Lowry è un’altra.

Orlando farà affidamento sulla fiducia acquisita nella rimonta di fine stagione, sul fatto che non ha nulla da perdere e sull’aggressività difensiva con la quale spesso ha limitato le percentuali altrui; è però anche vero che pure le partite a basso tenore realizzativo sono nelle corde dei Raptors che possono infatti contare su un gioco in marcatura e una panchina secondi a pochi altri.

Inoltre mentre per Toronto è la sesta apparizione consecutiva in postseason, Orlando ritorna dopo sei anni e potrebbe risentirne a livello emotivo e di esperienza.

 

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Per favore Antonio Brown, smettila

Il livello d’emotività, nella lunga storia di Play.it USA, probabilmente non è mai stato così alto: qualche settimana fa ringraziai l’amico-nemico Gronkowski per avermi regalato sinceri sorrisi per tutto l’ultimo decennio e pochissimi giorni fa l’amico e “collega” Giorgio Barbareschi ha salutato il suo mito Dirk Nowitzki con una serie di lettere che se avete un cuore non potete non aver letto -veramente, avete l’obbligo morale di dedicare loro dieci dei vostri minuti- ed io, sempre attento alle vostre reazioni e sempre desideroso di regalarvi qualche minuto di disinteressato svago, ho pensato di portare avanti questo trend -se così si può definire- e comporre un’altra lettera, sempre ad uno sportivo che ho amato alla follia nonostante i colori indossati.
“Ho amato”: passato prossimo? Ebbene sì, dopo mesi e mesi di sceneggiate, soprannomi auto-affibbiatisi totalmente a caso e tinte ai baffi, non so di preciso a che punto sia la mia relazione con Antonio Brown.
AB il giocatore rimane un fenomeno assoluto che personalmente credo riuscirà a fare faville pure ad Oakland, ma Antonio Brown l’umano, ai miei occhi, è assolutamente caduto: il beef con il povero JuJu Smith-Schuster è la proverbiale goccia che ha fatto traboccare un vaso che ho tentato di svuotare più e più volte, fino a pochi giorni fa.

AB, siediti ed ascoltami.

Per favore Antonio Brown, smettila.
Te lo chiedo con il cuore in mano, smettila di metterti in ridicolo con puerili faide online: il tuo uso dei social media è indubbiamente parte di ciò che sei e, soprattutto, del personaggio che amiamo -o meglio, che amavamo- ma a questo punto della tua carriera e vita devi avere la lucidità per capire quando effettivamente sia ora di farla finita.
Potrò forse sembrarti drastico, ma in questi ultimi mesi ci hai reso il semplice volerti bene parecchio difficile e francamente io, Mattia, ho premuto malinconicamente il tasto “pause”: il bisogno di staccarmi per un attimo da te e riflettere sul nostro rapporto me lo hai provocato tu, caro Antonio, a forza di tweet ridicoli.
E fidati, questo è un sentimento comune: i social media pullulano di “JuJu is better” che non sono il frutto di analisi di dati prettamente sportivi, ma semplicemente reazioni viscerali al veleno che stai sputacchiando istericamente da un paio di mesi a questa parte.

Posso capire le tue critiche a Roethlisberger, non deve essere facile giocare con un quarterback che ad ogni piè sospinto meschinamente e cinicamente non perde il vizio di lanciare qualcuno sotto il proverbiale bus nelle frequenti apparizioni radiofoniche: non ti appoggio per un’antipatia personale verso Big Ben, ma semplicemente perché ho prove tangibili del comportamento fastidioso e distrattamente autoritario sotto forma di video o spezzoni di interventi radiofonici. Ovviamente tu avresti potuto essere la persona migliore e lavare i panni sporchi in casa tentando di parlarne a quattr’occhi con l’interessato, ma chi sono io per condannare comportamenti passivo-aggressivi? E soprattutto chi mi dà la garanzia che un colloquio privato non sia mai avvenuto?
Questa te la perdono.
Posso non condividere il tuo risentimento verso Tomlin, ma immagino che dietro tutto ciò ci sia un qualcosa che solo voi due saprete e che, sciaguratamente, lo ha spinto a lasciarti in tribuna contro Cincinnati. Ma anche tu, abbandonare lo stadio prima dell’inizio della seconda metà di gioco… puoi essere molto meglio di così, caro Antonio.

I miei problemi con te, Mr. Big Chest, sono iniziati da quello sciagurato tweet in risposta a Kittle:

Da quel momento, nulla è stato come prima.
Hai iniziato a scornarti con Emmanuel Sanders nel momento esatto in cui a ringhiarti è stato Bruce Arians: lasciare andare non era un’opzione plausibile? Neanche per sogno?
Immagino le voci di un possibile approdo a Buffalo ti abbiano causato incubi per giorni, ma dimmi, perché dopo che gli Steelers hanno esaudito il tuo desiderio facendosi rapinare dai Raiders non hai sepolto l’ascia in attesa di sguainarla a settembre in campo? Che bisogno ha il miglior ricevitore della sua generazione -o perlomeno il più produttivo- di rispondere ad ogni minima critica su Twitter? Hai mai guardato i tuoi numeri? Non credi che basterebbe lasciar la parola a loro per uscire a testa alta da ogni discussione?
Tante domande a cui può rispondere un solenne “evidentemente no”.
Peccato Antonio, hai sprecato una ghiotta occasione, ma se proprio devo essere sincero, anche se qualche volta mi facevi passare quarti d’ora interi a sbuffare, ti stavo volendo ancora genuinamente bene.

Poi, per motivi squisitamente Tuoi, hai deciso di aprire il fuoco su JuJu: hai letto bene, aprire il fuoco.
Non ha mai menzionato il tuo nome ed anzi, era contento che il suo “mentore” avesse messo la propria firma sotto il tanto desiderato nuovo contratto, contratto che un giorno vorrebbe essere nella posizione di firmare pure lui: questo lo sai e lo hai dimostrato con un altro rivedibile tweet.

Cosa vuoi che faccia? Che ammetta una probabilmente inesistente frizione con il proprio quarterback? Cosa può fare? Dichiarare guerra ai piani alti della squadra in cui vorrebbe giocare per tutta la carriera per continuare a poter essere il tuo little bro? Non essere ridicolo.
Per favore, fermati per un secondo e rifletti.
Non ti è bastato questo tweet per togliere JuJu dalla lista delle persone da infamare in questa impegnativa offseason? Perché hai dovuto portare avanti il tutto ed andare oltre, eccessivamente oltre?
Posso umanamente concepire la gelosia tra “fratelli”, però non ti è sembrato il colpo basso del lustro condividere uno screenshot di un ricevitore diciottenne che chiede ad uno dei suoi idoli consigli su come migliorare? Sai che molto probabilmente tutto ciò che voleva quell’ancor più giovane JuJu era una tua semplice risposta? Ti rendi conto di quanta felicità avrà provato nel momento in cui gli avrai dato un consiglio annacquato di circostanza?
Perché tentare di metterlo in ridicolo sbandierando un comportamento con il quale la quasi totalità di noi può empatizzare?
Così rendi facile a chiunque odiarti, anche al più fedele dei tuoi sostenitori che per anni, imperterrito, ti ha anteposto ai vari Jones, Hopkins e Beckham Jr. in improvvisate classifiche di posizione.
Sì Antonio, molto facilmente continuerò ad emozionarmi alle tue ricezioni o a rifarmi gli occhi nuotando fra statistiche che ci raccontano di un’efficienza da sicuro Hall of Famer, però lo farò molto con molto più distacco di prima: ho un’età in cui per forza di cose gli sportivi non possono più essere “i miei modelli di vita”, però come dire… il tuo comportamento negli ultimi mesi mi sta spingendo a rimanere indifferente alla tua persona.
Odiarti? Assolutamente no, non diciamo sciocchezze, “è solo un gioco” alla fine, ma francamente non ne posso più di cercare giustificazioni ai tuoi colpi di testa, non ne posso più di arrampicarmi sugli specchi di un’abusata empatia che ha pure portato il tuo ex compagno Rashard Mendenhall ad invitare il pubblico “ad empatizzare con l’uomo dietro l’ottantaquattro”, non ho più voglia di sprecare tutto questo tempo a riflettere sui tuoi comportamenti.

Sembravate così felici insieme…

Non ne vale più la pena, in quanto mi hai dato prova che per alimentare costantemente il tuo ego si possono pure lanciare nel tritacarne relazioni personali ed amicizie varie: in nome di cosa, poi?
Ho sempre difeso -e sempre difenderò- un giocatore il cui nome, da oramai tre anni, è menzionato esclusivamente per motivi extra-sportivi e spesso e volentieri puramente politici, non ho alcun problema con le bocche larghe di questa lega, o almeno è così finché queste bocche non vengono messe in movimento per alimentare odio assolutamente gratuito.
Non abbiamo bisogno di uno sportivo del genere, soprattutto in questo periodo storico.
Pertanto, Antonio Brown, la mia porta è ancora aperta, ma ti invito a fare attenzione, che sei veramente vicino a diventare un qualcuno per cui, tristemente e genuinamente, non ne vale più la pena.
A te la palla. O tastiera.

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7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×24)

Se è vero che tutte le cose belle prima o poi finiscono, e quelle brutte pure, figuriamoci quelle così così. Con l’ultima giornata di regular season appena andata agli archivi e il tabellone dei playoff NBA che si riempie coi pronostici dai quattro angoli del globo, anche 7for7 giunge all’ultima puntata – ma non temete, stiamo già raccogliendo dati per gli attesissimi playoff ignoranti. Settimana lunga quella che vi raccontiamo oggi, quindi partiamo subito. Via!