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Gli Yankees sopravvivono agli infortuni

Il vertice della AL East nei paraggi, un record abbondantemente sopra il 50%, le solite spaziali statistiche offensive e una più che dignitosa difesa sul monte di lancio: questo finora il bilancio degli Yankees.

Una squadra di bomber che come da tradizione primeggia in potenza, dietro solo alla sensazione stagionale Seattle, a Milwaukee e Dodgers per fuori campo e tra le prime sette per run segnate, ma che difetta ancora in precisione e nel raggiungimento delle basi (a metà classifica per valide, Obp e media in battuta, 26° per doppi e 28° per tripli). Aggiungiamo un ampio piazzamento tra le migliori dieci al lancio per Era, punti subiti, vittorie conseguite e opponents batting average!

Nulla di nuovo in queste peculiarità dalle parti del Bronx e non ci sarebbe niente di strano e sorprendente nel nostro preambolo visto che parliamo di una franchigia che ha fatto la storia dello sport mondiale e che, nonostante manchi il trionfo più bello da un po’ di anni, partiva anche in questa stagione con i favori dei pronostici per primeggiare insieme alle solite Boston (loro si in difficoltà) e Houston.

Invece possiamo definirla un’impresa vera e propria questa presenza nelle alte vette della classifica dato che una sfortuna senza precedenti la sta privando di un inimmaginabile numero di giocatori importanti e decisivi in ogni settore del field.

La lista infortunati, da aggiornare quotidianamente, somiglia infatti ad un pronto soccorso ospedaliero sportivo! L’ultimo grande nome a finire in questo elenco è niente meno che Aaron Judge, ovvero sia il numero uno a roster. Un pericoloso stiramento al muscolo obliquo dell’addome lo ha di recente messo KO e soprattutto lo ha lasciato senza diagnosi e tempi di recupero vista la pericolosità della zona interessata che nel maggiore dei casi porta a rientri piuttosto brevi (tre settimane) ma lascia però ampie possibilità di ricadute!

Il fenomenale hitter nonché guanto prelibato dell’outfield dal lancio potente – 72-36 il bilancio con lui, 28-26 senza nel 2018 – va ad aggiungersi a più di dieci elementi già stabili in injured list.

Tra questi ci sono altri titolari inamovibili all’Opening Day: Stanton (bicipite), Bird (piede), Andujar (spalla), Troy Tulowitzki (polpaccio) e fino a poco tempo fa Gary Sanchez, dignitosamente sostituito da Austin Romine. Tutti loro al momento hanno uno status di convocazione di 10 giorni ma ciò non è assolutamente scontato.

Lo stesso Clint Frazier, uno degli eroi grazie al quale si è superata l’emergenza, è out per problemi alla caviglia. Rimarchiamo questa assenza proprio perché in un team abituato ad esplodere colpi più che a piazzarli il “Red Thunder”, quinta overall draft pick ed ex top prospect, è finora l’unico in grado di battere sopra il .300 e ai vertici di squadra per valide e Rbi.

Tra i lanciatori si sapeva già dalla offseason dei cronici problemi alla cuffia rotatori per Luis Severino ma che fosse ancora oggi in 60-day IL non se lo aspettava nessuno; idem Ben Heller reduce dalla Tommy John e Jordan Montgomery che potrebbe ripresentarsi nel 2020! Più vicino a tornare sul monte sembra Dellin Betances, uno dei rilievi più affidabili per Aaron Boone, sperando che la cura al cortisone faccia il suo effetto.

E’ un reparto nel quale ha perso il suo posto Chad Green, retrocesso in minor dopo lo shockante inizio che lo ha visto arrivare ad Era e Whip vicini a 16.50 e 2.50!

Anche Didi Gregorius, in rehab pure lui dalla TJS, ne avrà ancora per un paio di mesi, così come Jacoby Ellsbury. Buone notizie invece pare arrivino dalla schiena di Aaron Hicks, fondamentale per il reparto esterni, il cui programma volto a verificare tiro dall’outfield e corsa sembra procedere senza intoppi e potrebbe restituirlo allo skipper per la seconda settimana di Maggio.

Oltre alla vecchia guardia e giocatori d’esperienza come Brett Gardner, sempre affidabile a sinistra e in battuta (5 hr) e DJ LeMahieu (poco sotto al .300 e leader per hit) con purtroppo recenti problemi al ginocchio destro, hanno portato avanti la baracca Gleyber Torres, dal quale si attende il campionato della consacrazione, Mike Tauchman dai Rockies, Gio Urshela da Toronto, ottimo nelle ultime uscite e miracoloso in difesa nella serie contro i Giants dove però è stato colpito alla mano sinistra da un lancio, Mike Ford (un debuttante) e Tyler Wade.

Se vogliamo però restringere a due nomi il miracolo che sta facendo sopravvivere New York alla sfortuna citiamo Luke Voit e Domingo German.

Il prima base continua nella sua stratosferica progressione che già nel finale del campionato passato lo aveva posto come ennesimo slugger di livello della “bomber’s era”, raggiungendo inoltre i primati storici di Ruth e Maris sul numero di valide e home run nelle prime 30 partite disputate.

Questo è servito a dimostrare ancora una volta l’abilità di Cashman negli scambi a credito e di come per stare di continuo al vertice non bastino solo investimenti improbi ma furbizia nelle stanze di comando. Conduce le statistiche di squadra per fuori campo e Rbi nonché a ridosso di Jeter e Texeira per la più lunga on-base streak dal 2009 in casa Yankees. Possiede pure una striscia aperta per hit e negli ultimi 13 match batte 18 su 49: pazzesco!

Il partente, dopo due anni a studiare i titolari, non solo non fa rimpiangere l’asso Severino, ma è tra i top five opener dell’intera lega.

Un reparto dove l’unico in difficoltà sembra JA Happ rispetto a Tanaka e Sabathia all’ultimo anno (non prima di essere arrivato a 3.000K) mentre Paxton sta giustificando l’investimento della dirigenza nonostante gli small parks presenti nella East, così come Adam Ottavino tra i rilievi.

Un settore qui sempre d’elite e che a parte la debacle di Chad Green, si ritrova ancora con profili affidabili come Chapman, Holder, Cessa, Britton, Loaisiga e Tommy Kahnle.

Il calendario ha presentato quasi tutti scontri con squadre sotto al 50% di vittorie tranne gli Astros, dai quali si è subito uno sweep pure se combattuto. Per onor di cronaca dobbiamo far notare però che gli unici team come forza nettamente inferiore agli Yankees sono stati Baltimore, White Sox (4 sconfitte in 9 incontri comunque) e i Royals. Vincere contro Red Sox ed Angels cinque partite su sei in formazione nettamente rimaneggiata lo consideriamo un risultato di prestigio.

L’avvio di campionato può dunque ritenersi più che positivo in particolare perché i leader (Stanton in testa) sembrano vicini al ritorno in campo; si spera piuttosto che il problema di Judge sia meno grave del previsto: questo permetterebbe a New York di iniziare a volare facendo il vuoto dietro di sé.

 

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I Minnesota Twins in vetta alla Central

L’ambiziosa campagna acquisti dei Twins è stata pensata per ridurre il gap con Cleveland, tentando così di raggiungere lo spot della Wild Card o addirittura vincere una division sulla carta nettamente più debole delle altre vista la presenza di franchigie in ricostruzione ormai quasi decennale come Tigers, White Sox e Royals.

E’ presto per parlare ma un primo bilancio si può fare dato che un ottavo del campionato regolare è già trascorso. Notiamo a sorpresa che proprio la Central, da sempre pecora nera dell’American League, si ritrova con tre squadre sopra il 50%. Minnesota conduce il gruppo di un’incollatura sui favoriti Indians, che potrebbero alla lunga pagare qualche cessione eccellente della offseason – Donaldson, Brantley, Allen e Miller su tutti – nonché accusare l’assenza di un bullpen lungo e della forma precaria di un campione come Lindor, a causa di acciacchi continui.

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ABC del Football NFL Blog

Una partita ad Harpastum, primo antenato del nostro amato Football

Quest’anno il giorno di Pasqua è coinciso con il Natale di Roma, festa nella quale ogni 21 Aprile il Gruppo Storico Romano, splendida associazione non a scopo di lucro, riporta in vita qualche evento particolare che ha caratterizzato il passato capitolino.

E’ proprio il giorno della fondazione della Città Eterna che una compagnia di amici, legati dall’interesse storico verso le sue origini e gesta, diede inizio ad un’attività che dura dal 1994!! Il secolo I e II D.C. sono fra i tanti attori protagonisti di uno studio accurato che ricostruisce fedelmente riti, costumi, usanze, armature, oggetti vari, attività militari e gladiatorie, rievocazioni dei legionari, vestali, pretoriani, senatori, danzatrici e popolo, facendo rivivere l’animo, lo spirito ed ogni possibile emozione di un’epoca che ha fatto storia.

Tra tutte le promozioni culturali, artistiche e ricreative relative all’antica Roma, nella meravigliosa cornice delle terme di Caracalla è andata in scena la trasposizione di una partita ad Harpastum, con la Legione XI che è scesa in campo rendendo al massimo e nella maniera più credibile quello che è stato il vero antenato del calcio Fiorentino in primis, del rugby poi ed infine del Football Americano, che con le sue numerose regole lo possiamo definire oggi il “prodotto finito”!!

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L’ottima partenza dei Mariners

Un record di 13-2, la vetta dell’intera lega e un’esplosività offensiva incontrastabile grazie a 8 run per game, alla leadership per rbi e ad una striscia (appena conclusa) per fuori campo: tutto questo ha rappresentato l’inimmaginabile inizio di regular season per Seattle.

Imprevisto soprattutto alla luce di una offseason al risparmio, caratterizzata dalla riduzione salariale successiva alle cessioni eccellenti di Cano (Mets) e Segura (Phillies) ma soprattutto quelle al lancio di Paxton e di Edwin Diaz e per l’assenza prolungata di un punto fermo dell’infield come Kyle Seager.

E’ presto per voli pindarici anche se l’American League finora sembra più umana e clemente rispetto al passato con i campioni in carica Red Sox in una crisi senza precedenti e gli Yankees in rodaggio stracolmi di infortuni. L’unica che dopo uno start a rilento sembra aver imboccato la solita strada dominante è Houston. Tra le squadre di seconda fascia ma accreditate a giocarsi la postseason i Rays marciano invece spediti.

Alla luce di tutta questa incertezza ed equilibrio i Mariners possono benissimo dire la loro, senza aver nulla da perdere e con pochi obblighi. Il lineup attuale può considerarsi come un vero gruppo di bomber, superiore anche a quello di New York sponda Bronx, con 42 fuori campo in 20 partite consecutive che se proporzionati ad un intero campionato vorrebbero dire 350 su 162 match e bye bye al record Yanks di 267!

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Portland Trail Blazers vs Oklahoma City Thunder: Preview

Il canestro quasi sulla sirena di Paul George contro i Rockets ha regalato un’occasione più unica che rara ai  Thunder, soprattutto dopo l’incostante ultima fase di regular season nella quale parecchio terreno era stato perduto e i galloni da vice Warriors erano andati smarriti.

Il ventinovenne da Fresno State, nella stagione della vita e della maturità, nonostante una spalla dolorante ha aggiunto un tassello importante alla sua fantasmagorica annata fatta di un incontenibile gioco offensivo unito a solidità e aggressività difensiva.

Con la sua conclusione vincente fuori dall’arco ha evitato ai suoi compagni non solo un insostenibile primo turno contro i campioni in carica ma ha concesso loro anche la possibilità di entrare nel tabellone finale dalla parte più appetibile, quella cioè proprio all’opposto di KD e del “barba”, raggiungendo la sesta piazza finale con la quale andare ad affrontare i Blazers.

Ciò non vuol dir nulla ovvio, specie perché il team di Terry Stotts rappresenta ormai una solida realtà nell’intero panorama NBA e l’arrivo in postseason con il traguardo delle 50 W è da anni quasi una prassi. Inoltre un gruppo un po’ troppo spesso monodimensionale e affidato solo alle individualità dei suoi Big Three Lillard-McCollum-Nurkic è riuscito nel tempo ad allargare i propri orizzonti e a turno i vari Aminu, Harkless e dalla panca il più giovane dei Curry e Layman hanno contribuito ai buoni risultati del club.

Ovviamente il terribile e struggente infortunio al bosniaco e gli acciacchi che mettono in dubbio la reale efficienza di CJ, uniti a un ritorno alle origini per efficienza difensiva (17° posto) e ad una storica incapacità a battagliare nelle partite di playoff non lasciano spazio a chiacchiere: Portland è la squadra che chiunque arrivato dal quinto posto in giù avrebbe voluto incontrare.

Dal canto loro però i Thunder non possono ritenersi soddisfatti del loro campionato, partito a differenza dei Blazers – quasi sempre costanti – un po’ sottotono a seguito dell’arrivo di Schroder che ha necessitato di un periodo di ambientamento. Dopo poco però Donovan si è ritrovato gli stessi punti a partita di Melo ma un attaccante/difensore veloce e sesto uomo coi fiocchi in più.

Per molto tempo Westbrook e soci sono rimasti ai vertici sfiorando la leadership dell’Ovest rimanendo di un’incollatura dietro ai Nuggets prima e a Golden State dopo, “sciogliendosi” come accennato nella fase decisiva, salvati appunto nel finale dal loro MVP. Questo lascia molti dubbi sull’andamento della serie, perché se da un lato OKC arriva più sana (spalla di George permettendo) rispetto ai rivali è anche vero che la costanza di rendimento non è stato proprio il forte dei ragazzi di coach Billy.

“Quando Russell fa il one man show i Thunder perdono” è il luogo comune che purtroppo spesso corrisponde a realtà; notiamo infatti che un gioco offensivo più fluido fatto di molte varianti e coinvolgendo tutto l’attacco ha portato tante volte nelle fasi prima citate ad ottimi risultati offensivi rispetto agli anni passati, quando si puntava sostanzialmente solo sull’ego di Westbrook, George e Anthony e sull’abilità nel recupero palla e contropiede, ancor oggi specialità della casa.

L’assenza di Roberson non basta da sola a giustificare il crollo nelle statistiche difensive dopo che nel primo mese e mezzo la retroguardia era ancora una volta la punta di diamante delle strategie tecniche di Donovan. La ferocia nei raddoppi un po’ troppo spesso è stata seguita dalla pigrizia nel lasciare praterie sotto al pitturato.

I precedenti stagionali per di più non sorridono ad Oklahoma, sweeppata dai rivali, che possiedono il secondo miglior attacco NBA dall’All Star Break in poi.

L’assenza di Nurkic pesa come un macigno in entrambi i lati del campo e come detto i postumi dell’infortunio di McCollum potrebbe penalizzarlo e diminuirne la forza spingendo così veloci e aggressivi marcatori come RW, George e Grant a forzare palle perse (secondi dietro ai Pacers).

Portland, ultima per TO% ma poco sopra ai rivali per punti subiti a partita si ritrova dunque senza il miglior rimbalzista che abbassava notevolmente le percentuali avversarie nei pressi del ferro e con un Zach Collins troppo esile per contrastare due forze della natura come Adams e Noel.

L’arrivo di Kanter, iconico personaggio fuori dal campo, si è perciò dimostrato azzeccato, col turco a performare un’ultima parte di stagione regolare a livelli top. Nurkic non è purtroppo rimpiazzabile ma quel che si è chiesto al prodotto di Kentucky nell’ultimo periodo è stato di prendersi più responsabilità tecniche rispetto al passato e le risposte sono state egregie: 20 punti di media, movimenti in pivot rapidi e veloci, un ottimo gioco in post basso ed una incontrastata forza sotto canestro con 13 rimbalzi a partita. Lui si, anche perché è un ex, può dire la sua!

La serie è molto difficile da pronosticare; con i Blazers a giungere in salute all’appuntamento avremmo puntato su di loro anche perché gli stessi Thunder, oltre a un campionato scostante riaddrizzato per il rotto della cuffia, non è che abbiano grandi ricordi dell’ultima postseason, spazzati via da una squadra organizzata come Utah.

Westbrook dovrà condividere con tutti i compagni in rotazione le gioie e dolori di ogni singola partita per riuscire a portar a casa la serie, anche in 6 sfide, dall’altra parte un All Star di primissimo livello come Lillard avrà il palcoscenico e le responsabilità tutte per sè cercando di consacrarsi definitivamente.

 

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NBA

Golden State Warriors vs Los Angeles Clippers: Preview

Se c’è una sfida sulla carta meno equilibrata tra le otto in programma per stabilire chi arriverà alle semifinali di conference è quella tra i pluricampioni di Golden State e i cugini californiani dei Clippers.

La squadra con Steve Kerr al timone di comando ha probabilmente vissuto l’annata più difficile tra infortuni, litigi e un leggero e fisiologico appagamento che hanno caratterizzato una buona parte della stagione mentre la franchigia di Los Angeles è arrivata con netto anticipo ai playoff smentendo proiezioni e quote degli analisti che prevedevano 14 vittorie in meno di quelle ottenute (48), dopo aver in pratica disputato due tornei con due squadre diverse.

La prima è stata anche in testa alla classifica ad inizio anno e la seconda, rivoluzionata dalle trade in midseason che lasciano buone opportunità di rafforzamento per il futuro, è riuscita sorprendentemente a mantenersi ai vertici portando a casa un obiettivo che sembrava perduto dopo simili sconvolgimenti.

Nonostante tutto i Warriors hanno conquistato l’ennesimo primo posto ad Ovest (57/25) e relativo fattore campo fino alle eventuali Finals. Ciò a nostro avviso rappresenta una mostruosa dimostrazione di superiorità verso tutte le rivali e la consapevolezza e convinzione (se qualcuno lo avesse dimenticato) che i ragazzi della baia oltre ad essere i più forti a livello tecnico lo sono ancora a livello emotivo e mentale.

Analizzare le chiavi tattiche per evitare uno sweep previsto da tutti è abbastanza facile viste le qualità tecniche più limitate (ovviamente) di una squadra rispetto all’altra. Quel che ci ritorna in mente è la sfida iniziale tra le due franchigie che da un lato segnò l’ennesima prova di buon basket da parte dei Clippers, fisicità sotto al ferro e una panchina profonda come nessuno poteva immaginare, dall’altro le difficoltà enormi dei campioni, in rodaggio atletico, privi del miglior regista al mondo, in attesa di sapere se Cousins sarebbe rientrato e in quale condizione e con un paio di galli nel pollaio a fare la voce grossa e ad insultarsi sul parquet.

Come preventivato un po’ da tutti l’unica medicina utile a sbollire rabbia, sfiducia e depressione sportiva è vincere, e i gialli dell’Oracle Arena non sanno far altro.

A mesi di distanza da quella partita gli uomini di Kerr sono esplosi grazie ad una serie di fattori che li pongono oggi e ancora una volta come i netti favoriti per arrivare a giocarsi l’anello e vincerlo di nuovo mentre il team di Doc Rivers, nonostante come detto abbia cambiato vestito più volte, ha mantenuto le stesse peculiarità di gioco.

Boogie non può ostentare ancora la storica supremazia fisica dei tempi di New Orleans ma il suo inserimento è stato a nostro avviso decisivo, sia a livello psicologico che tecnico. Green ora non è più solo come leader motivazionale, il ferro ha un vero rim protector e le realizzazioni da mid range e il gioco in post si arricchiscono di un manone caldo ed educato, dignitoso anche fuori dall’arco. Inoltre Cousins dà al quintetto base una valenza da Big Five visto l’alone da superstar e l’esagerata personalità che traspare da ogni suo atteggiamento.

A parte l’affaire Durant/Green è anche giusto sottolineare come negli altri precedenti stagionali i Warriors (rinforzati di recente con Bogut) abbiano messo in chiaro la supremazia vincendo tutte le altre sfide.

Il ritmo alto e costante è quello a cui tutti devono attingere per mettere in difficoltà Curry e compagni, così come il gioco in transizione che tanto piace ai Clippers. Puntare a rallentare la contesa sarebbe un suicidio vista la classe di Steph, Durant e Thompson; asfissiare nella fase difensiva Golden State e renderla pigra è l’unica arma a disposizione per chiunque per tentare di fare partita patta, cercando così di sfruttare a proprio favore gli errati posizionamenti che sovente si verrebbero a creare. Il tutto dando per scontato di perdere il minor numero di palloni possibili per non esporsi al contropiede letale che ha reso celebre Golden State, la cui fase offensiva è praticamente ingestibile!

La panchina di L.A. dovrà generare questo tipo di “aggressività veloce” più a lungo possibile dando a Lou Williams le chiavi di creare dal nulla situazioni di qualità e ad Harrell il compito di limitare i danni dai giochi in post dei rivali sfruttando la sua stazza ma anche la rapidità difensiva. Lui e Zubac proteggono molto bene il pitturato ma rispetto agli avversari di ruolo difettano di un tiro poco credibile e potrebbero per questo essere “battezzati” dal coach avversario.

In avanti Gallinari sarà il vero deus ex machina di Doc Rivers, che già prima dell’addio di Harris ne aveva decantato le lodi come regista offensivo, capace di produrre da qualunque lato contesti interessanti, sia in conclusione, circolazione palla e assistenza. I rookie Shamet e Gilgeous-Alexander, insieme a Beverley, verranno seguiti con la lente di ingrandimento per vedere come supereranno l’impatto playoff dopo un’ eccellente regular season, col primo esploso dopo la trade con Phila e il secondo, lontano dal prototipo classico della point guard vista la lunghezza e ampiezza alare, a rischio implosione contro scattisti come Thompson e Curry.

Quest’ultimo, la cui caviglia mette un po’ di apprensione, ha fatto capire per l’ennesima volta come stanno le cose e quanto sia, oltre che un grandioso campione, anche il vero leader dello spogliatoio. Può stare o no simpatico  ma il suo ritorno in campo è coinciso con il recupero in classifica, un miglioramento offensivo con le solite paurose statistiche di squadra e un’armonia di gruppo (vera o presunta) ritrovata. Inoltre i suoi 27.3 per game sono il secondo miglior risultato di una straordinaria carriera e la sua stagione, messa leggermente in ombra dall’asfissiante one man show di Houston, sarebbe degna di un’altra candidatura a MVP.

Evitare il 4-0 darebbe al campionato dei Clippers ancor più valore, passare il turno sarebbe miracoloso.

Come detto giocare quattro quarti limitando con pressing asfissiante i piccoli Warriors è impresa ardua anche perché gli eventuali raddoppi libererebbero Durant, gia immarcabile di suo; allo stesso tempo allargare le maglie darebbe a Cousins la possibilità di sprigionare il suo talento in post e dal mid range.

In attacco le transizioni potrebbero cozzare contro la forza fisica dello stesso Boogie e Green e un ritmo eccessivo sarebbe a rischio palle perse e contropiedi avversari. La second unit tanto rinomata di Rivers diverrebbe ininfluente se il quintetto base di Golden State iniziasse i match ad alto tasso realizzativo.

Infine l’esperienza di chi domina da anni ogni tipo di confronto, sia di regular season che ad eliminazione diretta, è spropositata rispetto a chi si affaccia sul palcoscenico più importante per la prima volta o a distanza di tempo.

 

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Toronto Raptors vs Orlando Magic: Preview

Una contender habituè dei playoff contro un underdog di inizio stagione: si racchiude così Raptors-Magic, serie tra un team che ha dominato in largo e in lungo la regular season, insieme ai Bucks, e una squadra da sempre in rampa di lancio ma arrivata più volte al mese di marzo senza più speranze di proseguire la corsa.

Attenzione però: se i Magic sono arrivati a destinazione con un dignitosissimo settimo posto totale a Est, un record finalmente sopra al 50% (42/40) e la vittoria nella Southeast lo devono per lo più ad un gruppo fatto di veterani arrivati alla maturazione definitiva e non a giovani rivelazioni come ad esempio Isaac ma soprattutto Bamba.

Lo scatto d’orgoglio delle ultime settimane è avvenuto grazie alla costanza di un giocatore ormai affermato come Nikola Vucevic, aiutato nell’impresa dai sempre costanti D.J. Augustin, Evan Fournier e ad un sesto uomo coi fiocchi come Terrence Ross, letteralmente decisivo nello sprint finale coi suoi 23 di media a partita nella fase più calda della stagione, dimostrando così una inusuale mentalità vincente e grande personalità. Sempre funambolico in attacco ma molto scostante nelle altre fasi Aaron Gordon.

Dal canto loro i Raptors arrivano all’esame della maturità, quello decisivo per la loro storia. I campionati passati fatti di record abbattuti, primi posti di conference e un costante spettacolo sul parquet non bastano più: si punta all’obiettivo minimo delle Finals.

Negli scontri diretti di questa annata registriamo una vittoria al fotofinish di Toronto grazie a Danny Green, a seguito di un’eroica rimonta degli avversari a fine novembre, un dominio Magic dopo Natale dove lasciarono gli avversari al 29% dal campo e col maggior scarto di punti di tutto il 2018/19, un’altra W in trasferta per Ross e compagni il 24 febbraio con l’ex Raptors dominante ed infine i canadesi ad interrompere di recente la striscia vincente degli avversari grazie ai 29 del solito Green.

Se ci fosse logica nei trascorsi tra le due compagini potremmo concludere che sarà una serie equilibrata; dal nostro punto di vista però sarà difficile che Toronto si lasci sfuggire il secondo turno. Quel che è certo è che i ragazzi di Clifford faranno soffrire quelli di Nurse.

Il ritorno in postseason di Leonard sarà la chiave di tutta la serie, l’ago della bilancia che dovrebbe risultare decisivo per i suoi, più che per la fase difensiva – sempre di livello – per quella offensiva. Infatti con lui a sviluppare un gioco più eclettico in avanti coi classici movimenti cadenzati ma immarcabili, si libererano spazi perimetrali per i tiratori invece in difficoltà se pressati (Lowry, Green, VanVleet, Lin e Siakam) coinvolgendo inoltre pure in post il gruppo di lunghi probabilmente dalla mano più calda da fuori di tutta la lega (lo stesso Siakam, Ibaka, Gasol).

Saranno importanti e cruciali però le sue percentuali dal campo e quale stratagemma Clifford (tre apparizioni ai playoff su sei da head coach) studierà per limitarlo. E’ proprio la sua esperienza e abitudine al palcoscenico da playoff il motivo della mossa a sorpresa di Masai Ujiri nella offseason 2018.

Ci sentiamo di nominare ancora DG#14 come altra chiave della sfida per i suoi, vuoi per il feeling col vecchio compagno sperone, per l’indottrinamento da Pop e l’affidabilità a marcare i veloci top scorer avversari, ma anche perché, come accennato, è proprio contro i Magic che riesce ad esprimersi al meglio (14 pts, 50% da tre, 4.5 reb e 2 assist per game).

Ribadiamo per Orlando Vucevic e Ross come pedine per scardinare la difesa avversaria. Il primo ha disputato la stagione della vita da tutti i punti di vista, fino a divenire il primo All-Star del club dai tempi di Dwight Howard (2012) ed è oggi un “7-footer” versatile in ogni zona del campo e quindi difficilmente contrastabile sia sotto al ferro che da fuori. Vuc è migliorato anche come uomo squadra e regista, aiutando il coach a limitare proprio quella che è una delle lacune principali da anni qui in Florida. Proprio in uno degli head to head stagionali con i prossimi avversari ha sfiorato la tripla doppia.

Il secondo è l’unico giocatore che da profondità al roster e potrebbe risultare una variabile impazzita.

Negli sport americani fare previsioni è sempre sconsigliato. Certo è che la profondità di un team voglioso di arrivare in fondo e arricchito di due grandi profili da win or go home ad inizio anno, da un esperto e forte top center come Marc Gasol ed un velocista al nono anno NBA come Lin fa pendere i favori dei pronostici tutti per i canadesi.

Raddoppiare Vucevic e Ross lasciando liberi Augustin, Fournier e Gordon è una cosa, farlo con Leonard e Siakam lasciando però spazio a Gasol, Green, Ibaka o Lowry è un’altra.

Orlando farà affidamento sulla fiducia acquisita nella rimonta di fine stagione, sul fatto che non ha nulla da perdere e sull’aggressività difensiva con la quale spesso ha limitato le percentuali altrui; è però anche vero che pure le partite a basso tenore realizzativo sono nelle corde dei Raptors che possono infatti contare su un gioco in marcatura e una panchina secondi a pochi altri.

Inoltre mentre per Toronto è la sesta apparizione consecutiva in postseason, Orlando ritorna dopo sei anni e potrebbe risentirne a livello emotivo e di esperienza.

 

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NHL

Arizona Coyotes: comunque andrà sarà un successo

Tra le più belle realtà del panorama sportivo a stelle e strisce troviamo sicuramente gli Arizona Coyotes.

Nel momento in cui scriviamo la squadra di stanza nella Gila River Arena e allenata al secondo anno da Rick Tocchet si trova nei pressi della zona Wild Card a Ovest, vicina ai più forti Avalanche ma con una partita e mezzo di distanza a pochi giorni dal termine della regular season.

Le speranze dunque sono residue e questo lascia un po’ di amarezza se si analizza il periodo recente, nel quale i Desert Dogs avevano preso il comando di questa posizione e vedevano arrancare gli avversari di Colorado, intrappolati e incartati in una sorta di limbo fatto di sfortuna e sconfitte incredibili.

Sarebbe un peccato anche alla luce delle recenti indiscrezioni da parte del Board NHL riguardo un prossimo ed eventuale aumento di partecipanti ai playoff, con un nuovo format che non estenderebbe la durata della postseason ma consentirebbe una limitazione alle trasferte e costi relativi.

Attenzione però: comunque andrà a finire sarà un successo e parleremo di miracolo sia nel caso in cui si agguanti l’ottavo posto ma anche se si mancherà l’obiettivo. Questo perché ad inizio ottobre nell’arido deserto dalle parti di Glendale si attendeva l’ennesima stagione di transizione, fatta di sconfitte, delusioni e di una immagine da squadra cuscinetto.

Parliamo di un team giovane e simpatico che solamente da poco ha ritirato il primo numero della sua storia, il 19 del mitico Shane Doan, capitano che ha giocato con la stessa franchigia un’intera carriera, partendo dai Jets, poi spostati a Phoenix nel 1996.

A succedergli come leader e ad indossare la C sulla casacca è stato il difensore Oliver Ekman-Larsson: una grande soddisfazione per lui arrivata poco dopo aver rinnovato il contratto per otto campionati ad una remunerazione complessiva di 66M. E’ il quarto captain della storia dei Coyotes dopo Tkachuk, Numminem e lo stesso Doan.

Selezionato come sesta scelta assoluta nel 2009, lo svedese ha iniziato la stagione con un dignitoso palmares di 290 punti e 102 gol in 576 partite. Gratificato da tale investitura il ventisettenne da Karlskrona ha disputato la seconda miglior stagione della sua onorevole carriera e appaia l’ex rookie Keller come top scorer.

La dirigenza, per mano di John Chayka, dopo diverse annate deludenti, aveva dato il via alla ricostruzione basata su giovani talenti che ha forse causato il pessimo start dello scorso campionato, fino ad ingranare, concludere il 2018 con un ottimo 17-10-3 e ripartire ad ottobre con più sicurezza nei propri mezzi.

Il Gm oggi, felice per le bellissime performance, la fluidità sul ghiaccio dei suoi uomini e per essere il direttore generale di una realtà definita in più periodi dell’anno “the hottest team in NHL”, ha già annunciato che a prescindere dalla qualificazione in postseason passerà l’estate a rinnovare i suoi uomini di punta.

Tra i buoni colpi messi a segno non possiamo che partire da Nick Schmaltz, giunto a fine Novembre, che avrebbe rappresentato un rinforzo incredibile per il sempre sterile attacco di Arizona, fino a quando prima di gennaio la sfortuna lo ha estromesso dalla scena per infortunio lower body. Per lui 14 punti in 17 incontri. Le due former first round pick Brendan Perlini e Dylan Strome hanno rappresentato la giusta contropartita tecnica per Chicago dando ad entrambe le franchigie lo stesso vantaggio nello scambio.

Ai Coyotes serviva infatti una certezza, un profilo adatto ad inserirsi subito nell’asset da power play come ala destra nella prima linea insieme ai sinistri Keller, Galchenyuk, Chychrun e il capitano. Basti pensare che i 21 gol e 31 assist del 2017/18 (il suo secondo anno) sarebbero stati da queste parti il terzo best score. Ai Blackhawks serviva approfondire le linee prima troppo monodimensionali e soggette soltanto all’estro di Kane e Toews.

Da sempre il tallone d’Achille per i Coyotes, l’offensive zone statisticamente parlando non ha subìto particolari migliorie nonostante gli innesti di Galchenyuk, che scambiato con Domi da Montreal sta comunque rispettando le attese e di Michael Grabner (27 gol nelle ultime due stagioni). Inoltre le grandi aspettative sul rookie Nick Merley non sono andate a buon fine.

Il “primato” di peggior attacco della Western Conference e penultimo dell’intera lega è stato “migliorato” grazie a Stars, Kings e Ducks! Le linee comunque sono fluide, veloci e abili nel recupero disco con Hinostroza, Richardson e Panik in top line a cavarsela dignitosamente.

Certo che la sfortuna in questo reparto ha fatto la sua parte visto che oltre a Schmaltz si è abbattuta anche su altri importanti elementi a roster come Derek Stepan, Christian Dvorak (out per problemi pettorali con solo 17 start) e lo stesso Grabner (Dicembre). Pure la retroguardia è stata bersagliata dal malocchio con Jason Demers fuori a Novembre e soprattutto il goalie Antti Raanta, che grazie ad un sv% di .930 e 2.24 gol subiti per game aveva ottenuto il rinnovo per 3 anni.

Questo settore però si è rivelato il fiore all’occhiello di questo campionato, il motivo per cui Arizona se la sta giocando fino alla fine. Oltre all’accordo con Ekman-Larsson, importante pure l’intesa con Kevin Connauton, che nella rotazione difensiva affianca Goligoski, Hjalmarsson (biennale per lui), lo stesso Devers e spesso il 20enne Jacob Chychrun, ottimo con 20 punti in 52 match dopo l’infortunio al ginocchio. Quinto posto per gol subiti, decimo per tiri contro, secondo per reti in inferiorità numerica e primi nelle percentuali di penalty killing: eccezionale!

Tra i segreti c’è soprattutto quello di aver aggirato “la luna nera” della pesante assenza del portiere titolare con la straordinaria stagione di Darcy Kuemper, giunto come solido backup in un gruppo che in questo ruolo è arrivato a schierare in passato ben cinque giocatori.

Ebbene iniziamo col dire che l’ex Kings contro gli Wild ha ottenuto il quinto shutout ed è riuscito a rimanere imbattuto tra le mura amiche per 120 minuti. Da quando il ginocchio di Raanta ha fatto crack (27 Novembre) il suo bottino personale è stato di 20-11-3, 2.40 goals allowed e .924 percentuale di salvataggi; inoltre tra i goaltender con più di 50 partenze è secondo nelle classifiche di categoria dietro a Vasilevskiy.

Coach Tocchet si è rammaricato che il suo MVP annuale abbia sempre e solo fatto la riserva in carriera e una delle poche opportunità per mettere in mostra la sua forza spaventosa sia stata frutto della casualità e dell’incidente di un compagno.

Ecco, ci piace concludere con questa bellissima frase il nostro articolo, che dimostra come Darcy e i Coyotes siano la cenerentola di tutti gli sport americani e che quasi per caso rappresentino oggi una realtà apprezzata, stimata ma anche ormai temuta da tutti.

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Le ultime flebili speranze degli Hornets

L’incredibile canestro di Jeremy Lamb da metà campo a Toronto, oltre ad un bellissimo e spettacolare festeggiamento di gruppo all’interno del parquet, sembrava un segno del destino per la franchigia del North Carolina, imbrigliata nel marasma generale dei posti limitrofi all’ottavo nella Eastern Conference.

Preceduto e seguìto dalle vittorie casalinghe in clutch time contro Minnesota, Boston e San Antonio aveva inoltre riportato Charlotte a un tiro di schioppo (1 incontro) dallo spot numero otto di Miami e Orlando e dalle seste Brooklyn e Detroit (2 match).

Arrivare a giocarsi la qualificazione in postseason nel mese di Marzo con l’obbligo di vincere quasi sempre per ottenerla non è però nelle corde di un team da parecchio tempo invischiato in un limbo senza uscita, che fa degli Hornets una squadra troppo forte per un tanking selvaggio ma anche esageratamente debole per vincere una serie ad eliminazione diretta.

La sfortuna di “beccare” LeBron James (risparmiato di recente da Walton per ordini dall’alto) e i Warriors anch’essi alla disperata ricerca di W – per altri e più nobili motivi – ha riportato coi piedi per terra Kemba e compagni e nel momento in cui lo scrivente inizia il suo pezzo le speranze di agguantare i playoff sono ridotte al lumicino.

Analizzare l’andamento della stagione di Charlotte è abbastanza semplice; le discutibili gestioni dirigenziali di Michael Jordan, assolutamente distante dietro la scrivania rispetto a quando dettava legge in campo, hanno contribuito ad accumulare un monte stipendi imponente che ha lasciato pochi margini di manovra per rafforzare il roster.

Il team, le cui redini sono state cedute ad uno dei migliori allievi di Pop a San Antonio (James Borrego), per acquisire da un lato la dottrina Spurs e dall’altro porre una ventata di aria fresca da queste parti, ha vissuto l’anno con gli stessi e preventivati alti e bassi del passato recente, con un record sempre tra il 42 e 45%, proprio per l’incapacità di progredire a fronte di contratti esagerati e bloccanti, nonostante il fardello di Dwight Howard non sia più presente.

Se facciamo un esempio col lavoro di Vlade Divac a Sacramento arriviamo a capire meglio il succo della questione: lì con i giocatori simbolo giovani o veterani ancora in progressione (Fox, Hield, Bogdanovic, Bagley e Cauley-Stein) e un payroll spazioso (quasi 30M in meno che qui) si può lavorare nel presente ma anche per il futuro grazie alla crescita dei ragazzi in squadra e alle trade per migliorare reparti deficitari che si verrebbero a creare.

In Carolina del nord invece nei pressi dello start si è provato solo ad aumentare il livello della rotazione, uno dei vecchi talloni d’Achille, con l’arrivo della leggenda Tony Parker, mai giunto però a livelli top, a parte un ottimo metà Gennaio a 13 di media, per colpa di un minutaggio in calando passato da quasi 20 minuti a partita a 14 fino proprio a vedersi scomparire dal parquet e dalla seconda unità per scelta tecnica, con susseguente faccia buia.

Come al solito Kemba Walker si è dimostrato un giocatore eccezionale per solidità, tecnica e rapidità migliorando oltre che sui punti (25.2 per game) anche sui rimbalzi totali, assist e steals. Il suo atteggiamento coi compagni inoltre è da lodare per abnegazione e pazienza dimostrata, riuscendo (con successo) a non far mai trasparire i possibili malumori interiori, dovuti dall’essere ancora costretto a 28 anni a divincolarsi in posizioni di classifica non consone alla sua immensa classe.

Forse il romanticismo e la riconoscenza per chi ti ha fatto sbocciare in NBA (anche se a fianco di Clifford) è ancora presente ai giorni d’oggi, ma di sicuro non sono infiniti. La free agency alle porte, l’anno che non dovrebbe concludersi con la tanto agognata postseason, l’età avanzata e un alone da All Star non più sottovalutata come in passato daranno a KW molti estimatori d’elite che potrebbero convincerlo a sbarcare il lunario altrove rinunciando alle offerte di Kupchak e MJ, che (ovviamente) non dovrebbero scendere da un minimo di 200M quinquennali per riuscire a convincerlo.

Sarebbe una perdita stratosferica, sia a livello morale e motivazionale che tecnico; la stagione è iniziata sapendo che con lui in campo gli Hornets hanno un differenziale positivo (+3.4) rispetto al periodo in cui riposa in panchina (-7.8): numeri impietosi che rimarcano l’importanza del newyorchese.

E’ ironico vedere come gli onerosi accordi con Batum (ancora 24M annui a salire fino al 2021), Marvin Williams (idem a 14M per due anni) e Cody Zeller (tre campionati a 13.5 – 14.5 – 15.4), rispetto ai 12 di Kemba, rappresentino una spada di Damocle che inchioda Charlotte alla mediocrità e all’impossibilità di crescita.

E’ comunque ancora grazie a lui e al modo in cui li trascina attraverso le situazioni più difficili e complicate se la stagione sta terminando con qualche lampo e luce dai prospetti futuri. Malik Monk, ma soprattutto Miles Bridges (chiamato in lotteria a Giugno) e Dwayne Bacon stanno concludendo l’anno lasciando qualcosa di positivo che potrà essere utile nei tempi a venire.

Soprattutto le parole della stella e leader carismatico verso di loro hanno lasciato il segno, aprendo molte porte su un possibile prosieguo insieme. Walker infatti ne ha esaltato le lodi per cattiveria agonistica, energia e velocità, affermando addirittura di non riuscire a rimanere al loro passo e, ancor più importante, ha aggiunto di volersi impegnare al massimo per la loro consacrazione all’interno del team, sia oggi che domani!

Borrego stesso parla del suo campione come un esempio, che rimane a bordo campo a fine match e negli allenamenti a catechizzare i suoi ragazzi, compresi Graham e Kaminsky: atteggiamento da grande uomo ma anche da chi ha dei progetti a lungo termine qui a Charlotte. Staremo a vedere.