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Celtics – Bucks: Gara 3 live from TD Garden

La serie tra Celtics e Bucks rappresenta per entrambe le franchigie il vero inizio dei playoffs: troppa la differenza in termini di talento tra Detroit e Milwaukee e tra Boston ed Indiana per avere anche un minimo dubbio su chi sarebbe passato al secondo turno. Ed infatti, sia i Celtics che i Bucks hanno chiuso la pratica con largo anticipo, guadagnandosi una settimana di risposo.

Per tifosi ed addetti ai lavori la pausa forzata non ha fatto altro che aumentare la voglia viscerale di vedere una vera serie di playoffs. Possiamo dire con tranquillità che la serie tra Celtics e Bucks è esattamente questo e molto altro. Molte le story lines riguardanti i Green di Boston che abbiamo discusso fino allo sfinimento durante questa stagione travagliata e a cui finalmente troveremo una risposta definitiva.

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Playoffs NBA 2019: i pronostici delle semifinali di conference

Dopo un primo round nel quale abbiamo ampiamente dimostrato che anni e anni di partite e approfondimenti non servono ad una beata mazza al momento di azzeccare i pronostici, la redazione di Play.it USA  ha deciso di proseguire imperterrita nel percorso di distruzione della sua autostima e regalarvi le previsioni anche per il secondo turno dei playoff NBA (con un filo di ritardo ma il ponte pasquale ha colpito anche noi). Sulla carta tutte e quattro le serie si preannunciano molto incerte e divertenti: speriamo mantengano le promesse e se poi arrivassero quattro gare 7 non credo dispiacerebbe a nessuno.

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Celtics – Pacers: Gara 2 live from TD Garden

Gara 2 contro gli Indiana Pacers è una prova importante per i ragazzi di Stevens. Dopo una gara 1 vinta più per demerito dell’avversario che per meriti propri, è fondamentale per i Celtics dimostrare che la squadra è capace di elevare il proprio livello di gioco, requisito necessario per aspirare ad un lungo cammino nei playoffs.
Nei dintorni del TD Garden, sono tanti i giovani in verde che passeggiano nei parchi circostanti e affollano i pub: la primavera è arrivata qui a Boston e dopo il più classico degli inverni stile New England, è palese la voglia di tutti di trascorrere finalmente qualche ora all’aria aperta. Non ci stupiamo dunque, anche vista la qualità di gioco mostrata in gara 1, che all’interno del Garden si intraveda qualche posto vuoto in tribuna.

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Portland Trail Blazers vs Oklahoma City Thunder: Preview

Il canestro quasi sulla sirena di Paul George contro i Rockets ha regalato un’occasione più unica che rara ai  Thunder, soprattutto dopo l’incostante ultima fase di regular season nella quale parecchio terreno era stato perduto e i galloni da vice Warriors erano andati smarriti.

Il ventinovenne da Fresno State, nella stagione della vita e della maturità, nonostante una spalla dolorante ha aggiunto un tassello importante alla sua fantasmagorica annata fatta di un incontenibile gioco offensivo unito a solidità e aggressività difensiva.

Con la sua conclusione vincente fuori dall’arco ha evitato ai suoi compagni non solo un insostenibile primo turno contro i campioni in carica ma ha concesso loro anche la possibilità di entrare nel tabellone finale dalla parte più appetibile, quella cioè proprio all’opposto di KD e del “barba”, raggiungendo la sesta piazza finale con la quale andare ad affrontare i Blazers.

Ciò non vuol dir nulla ovvio, specie perché il team di Terry Stotts rappresenta ormai una solida realtà nell’intero panorama NBA e l’arrivo in postseason con il traguardo delle 50 W è da anni quasi una prassi. Inoltre un gruppo un po’ troppo spesso monodimensionale e affidato solo alle individualità dei suoi Big Three Lillard-McCollum-Nurkic è riuscito nel tempo ad allargare i propri orizzonti e a turno i vari Aminu, Harkless e dalla panca il più giovane dei Curry e Layman hanno contribuito ai buoni risultati del club.

Ovviamente il terribile e struggente infortunio al bosniaco e gli acciacchi che mettono in dubbio la reale efficienza di CJ, uniti a un ritorno alle origini per efficienza difensiva (17° posto) e ad una storica incapacità a battagliare nelle partite di playoff non lasciano spazio a chiacchiere: Portland è la squadra che chiunque arrivato dal quinto posto in giù avrebbe voluto incontrare.

Dal canto loro però i Thunder non possono ritenersi soddisfatti del loro campionato, partito a differenza dei Blazers – quasi sempre costanti – un po’ sottotono a seguito dell’arrivo di Schroder che ha necessitato di un periodo di ambientamento. Dopo poco però Donovan si è ritrovato gli stessi punti a partita di Melo ma un attaccante/difensore veloce e sesto uomo coi fiocchi in più.

Per molto tempo Westbrook e soci sono rimasti ai vertici sfiorando la leadership dell’Ovest rimanendo di un’incollatura dietro ai Nuggets prima e a Golden State dopo, “sciogliendosi” come accennato nella fase decisiva, salvati appunto nel finale dal loro MVP. Questo lascia molti dubbi sull’andamento della serie, perché se da un lato OKC arriva più sana (spalla di George permettendo) rispetto ai rivali è anche vero che la costanza di rendimento non è stato proprio il forte dei ragazzi di coach Billy.

“Quando Russell fa il one man show i Thunder perdono” è il luogo comune che purtroppo spesso corrisponde a realtà; notiamo infatti che un gioco offensivo più fluido fatto di molte varianti e coinvolgendo tutto l’attacco ha portato tante volte nelle fasi prima citate ad ottimi risultati offensivi rispetto agli anni passati, quando si puntava sostanzialmente solo sull’ego di Westbrook, George e Anthony e sull’abilità nel recupero palla e contropiede, ancor oggi specialità della casa.

L’assenza di Roberson non basta da sola a giustificare il crollo nelle statistiche difensive dopo che nel primo mese e mezzo la retroguardia era ancora una volta la punta di diamante delle strategie tecniche di Donovan. La ferocia nei raddoppi un po’ troppo spesso è stata seguita dalla pigrizia nel lasciare praterie sotto al pitturato.

I precedenti stagionali per di più non sorridono ad Oklahoma, sweeppata dai rivali, che possiedono il secondo miglior attacco NBA dall’All Star Break in poi.

L’assenza di Nurkic pesa come un macigno in entrambi i lati del campo e come detto i postumi dell’infortunio di McCollum potrebbe penalizzarlo e diminuirne la forza spingendo così veloci e aggressivi marcatori come RW, George e Grant a forzare palle perse (secondi dietro ai Pacers).

Portland, ultima per TO% ma poco sopra ai rivali per punti subiti a partita si ritrova dunque senza il miglior rimbalzista che abbassava notevolmente le percentuali avversarie nei pressi del ferro e con un Zach Collins troppo esile per contrastare due forze della natura come Adams e Noel.

L’arrivo di Kanter, iconico personaggio fuori dal campo, si è perciò dimostrato azzeccato, col turco a performare un’ultima parte di stagione regolare a livelli top. Nurkic non è purtroppo rimpiazzabile ma quel che si è chiesto al prodotto di Kentucky nell’ultimo periodo è stato di prendersi più responsabilità tecniche rispetto al passato e le risposte sono state egregie: 20 punti di media, movimenti in pivot rapidi e veloci, un ottimo gioco in post basso ed una incontrastata forza sotto canestro con 13 rimbalzi a partita. Lui si, anche perché è un ex, può dire la sua!

La serie è molto difficile da pronosticare; con i Blazers a giungere in salute all’appuntamento avremmo puntato su di loro anche perché gli stessi Thunder, oltre a un campionato scostante riaddrizzato per il rotto della cuffia, non è che abbiano grandi ricordi dell’ultima postseason, spazzati via da una squadra organizzata come Utah.

Westbrook dovrà condividere con tutti i compagni in rotazione le gioie e dolori di ogni singola partita per riuscire a portar a casa la serie, anche in 6 sfide, dall’altra parte un All Star di primissimo livello come Lillard avrà il palcoscenico e le responsabilità tutte per sè cercando di consacrarsi definitivamente.

 

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Golden State Warriors vs Los Angeles Clippers: Preview

Se c’è una sfida sulla carta meno equilibrata tra le otto in programma per stabilire chi arriverà alle semifinali di conference è quella tra i pluricampioni di Golden State e i cugini californiani dei Clippers.

La squadra con Steve Kerr al timone di comando ha probabilmente vissuto l’annata più difficile tra infortuni, litigi e un leggero e fisiologico appagamento che hanno caratterizzato una buona parte della stagione mentre la franchigia di Los Angeles è arrivata con netto anticipo ai playoff smentendo proiezioni e quote degli analisti che prevedevano 14 vittorie in meno di quelle ottenute (48), dopo aver in pratica disputato due tornei con due squadre diverse.

La prima è stata anche in testa alla classifica ad inizio anno e la seconda, rivoluzionata dalle trade in midseason che lasciano buone opportunità di rafforzamento per il futuro, è riuscita sorprendentemente a mantenersi ai vertici portando a casa un obiettivo che sembrava perduto dopo simili sconvolgimenti.

Nonostante tutto i Warriors hanno conquistato l’ennesimo primo posto ad Ovest (57/25) e relativo fattore campo fino alle eventuali Finals. Ciò a nostro avviso rappresenta una mostruosa dimostrazione di superiorità verso tutte le rivali e la consapevolezza e convinzione (se qualcuno lo avesse dimenticato) che i ragazzi della baia oltre ad essere i più forti a livello tecnico lo sono ancora a livello emotivo e mentale.

Analizzare le chiavi tattiche per evitare uno sweep previsto da tutti è abbastanza facile viste le qualità tecniche più limitate (ovviamente) di una squadra rispetto all’altra. Quel che ci ritorna in mente è la sfida iniziale tra le due franchigie che da un lato segnò l’ennesima prova di buon basket da parte dei Clippers, fisicità sotto al ferro e una panchina profonda come nessuno poteva immaginare, dall’altro le difficoltà enormi dei campioni, in rodaggio atletico, privi del miglior regista al mondo, in attesa di sapere se Cousins sarebbe rientrato e in quale condizione e con un paio di galli nel pollaio a fare la voce grossa e ad insultarsi sul parquet.

Come preventivato un po’ da tutti l’unica medicina utile a sbollire rabbia, sfiducia e depressione sportiva è vincere, e i gialli dell’Oracle Arena non sanno far altro.

A mesi di distanza da quella partita gli uomini di Kerr sono esplosi grazie ad una serie di fattori che li pongono oggi e ancora una volta come i netti favoriti per arrivare a giocarsi l’anello e vincerlo di nuovo mentre il team di Doc Rivers, nonostante come detto abbia cambiato vestito più volte, ha mantenuto le stesse peculiarità di gioco.

Boogie non può ostentare ancora la storica supremazia fisica dei tempi di New Orleans ma il suo inserimento è stato a nostro avviso decisivo, sia a livello psicologico che tecnico. Green ora non è più solo come leader motivazionale, il ferro ha un vero rim protector e le realizzazioni da mid range e il gioco in post si arricchiscono di un manone caldo ed educato, dignitoso anche fuori dall’arco. Inoltre Cousins dà al quintetto base una valenza da Big Five visto l’alone da superstar e l’esagerata personalità che traspare da ogni suo atteggiamento.

A parte l’affaire Durant/Green è anche giusto sottolineare come negli altri precedenti stagionali i Warriors (rinforzati di recente con Bogut) abbiano messo in chiaro la supremazia vincendo tutte le altre sfide.

Il ritmo alto e costante è quello a cui tutti devono attingere per mettere in difficoltà Curry e compagni, così come il gioco in transizione che tanto piace ai Clippers. Puntare a rallentare la contesa sarebbe un suicidio vista la classe di Steph, Durant e Thompson; asfissiare nella fase difensiva Golden State e renderla pigra è l’unica arma a disposizione per chiunque per tentare di fare partita patta, cercando così di sfruttare a proprio favore gli errati posizionamenti che sovente si verrebbero a creare. Il tutto dando per scontato di perdere il minor numero di palloni possibili per non esporsi al contropiede letale che ha reso celebre Golden State, la cui fase offensiva è praticamente ingestibile!

La panchina di L.A. dovrà generare questo tipo di “aggressività veloce” più a lungo possibile dando a Lou Williams le chiavi di creare dal nulla situazioni di qualità e ad Harrell il compito di limitare i danni dai giochi in post dei rivali sfruttando la sua stazza ma anche la rapidità difensiva. Lui e Zubac proteggono molto bene il pitturato ma rispetto agli avversari di ruolo difettano di un tiro poco credibile e potrebbero per questo essere “battezzati” dal coach avversario.

In avanti Gallinari sarà il vero deus ex machina di Doc Rivers, che già prima dell’addio di Harris ne aveva decantato le lodi come regista offensivo, capace di produrre da qualunque lato contesti interessanti, sia in conclusione, circolazione palla e assistenza. I rookie Shamet e Gilgeous-Alexander, insieme a Beverley, verranno seguiti con la lente di ingrandimento per vedere come supereranno l’impatto playoff dopo un’ eccellente regular season, col primo esploso dopo la trade con Phila e il secondo, lontano dal prototipo classico della point guard vista la lunghezza e ampiezza alare, a rischio implosione contro scattisti come Thompson e Curry.

Quest’ultimo, la cui caviglia mette un po’ di apprensione, ha fatto capire per l’ennesima volta come stanno le cose e quanto sia, oltre che un grandioso campione, anche il vero leader dello spogliatoio. Può stare o no simpatico  ma il suo ritorno in campo è coinciso con il recupero in classifica, un miglioramento offensivo con le solite paurose statistiche di squadra e un’armonia di gruppo (vera o presunta) ritrovata. Inoltre i suoi 27.3 per game sono il secondo miglior risultato di una straordinaria carriera e la sua stagione, messa leggermente in ombra dall’asfissiante one man show di Houston, sarebbe degna di un’altra candidatura a MVP.

Evitare il 4-0 darebbe al campionato dei Clippers ancor più valore, passare il turno sarebbe miracoloso.

Come detto giocare quattro quarti limitando con pressing asfissiante i piccoli Warriors è impresa ardua anche perché gli eventuali raddoppi libererebbero Durant, gia immarcabile di suo; allo stesso tempo allargare le maglie darebbe a Cousins la possibilità di sprigionare il suo talento in post e dal mid range.

In attacco le transizioni potrebbero cozzare contro la forza fisica dello stesso Boogie e Green e un ritmo eccessivo sarebbe a rischio palle perse e contropiedi avversari. La second unit tanto rinomata di Rivers diverrebbe ininfluente se il quintetto base di Golden State iniziasse i match ad alto tasso realizzativo.

Infine l’esperienza di chi domina da anni ogni tipo di confronto, sia di regular season che ad eliminazione diretta, è spropositata rispetto a chi si affaccia sul palcoscenico più importante per la prima volta o a distanza di tempo.

 

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Playoffs NBA 2019: i pronostici del primo turno

Playoffs NBA: sabato notte si parte.

Pur dopo una regular season poco impressionante, i Warriors sembrano ancora irraggiungibili, forse per l’ultima volta. Ma nuove contender si affacciano all’orizzonte, specialmente da Est: Giannis reclama il suo posto nell’Olimpo, mentre Kawhi appare l’unico umano capace di fermare i Guerrieri, come ha già dimostrato a tratti ai tempi di San Antonio. Ma come sempre l’Ovest sarà iper competitivo, da Denver a Oklahoma City passando per Houston che ha ancora il dente avvelenato.

Queste sono le nostre impressioni prima che tutto inizi: buon divertimento!

Milwaukee Bucks – Detroit Pistons

Max: l’impatto sotto i tabelloni dei Pistons non è da sottovalutare, ma i Bucks sono talmente organizzati e carichi che faranno fatica anche a perderne una soltanto. 4-0

Giorgio: i Bucks hanno l’MVP in pectore, il miglior record della Lega e un sistema di gioco straordinariamente efficiente. I Pistons hanno agguantato i playoff per il rotto della cuffia (perfino immeritatamente se vogliamo), hanno Blake Griffin acciaccato e Reggie Jackson come capo cordata. Ma di cosa stiamo parlando esattamente? No contest rapido e avanti un altro. 4-0

Andrea: il commovente impegno di Blake Griffin meriterebbe qualcosa di più. Non si è distinto per professionalità negli anni dei Clippers, ma ha accettato la trade mettendo la testa bassa e continuando a migliorare. La squadra però è quella che è. C’è Reggie Jackson. Quindi è sweep per quegli altri – a maggior ragione perché non credo che i Bucks imploderanno ai playoff come in molti suggeriscono. 4-0

Francesco: Milwaukee accede alla post-season forte di sessanta vittorie e di un probabile MVP in Giannis Antentokounmpo, con un sistema moderno e un gruppo rodato ed efficiente, mentre Detroit è arrivata a giocarsela in modo un po’ rocambolesco, perdendo sette delle ultime undici partite. Pur schierando Blake Griffin, Andre Drummond e Reggie Jackson (e avendo in panca un COY come Casey) i Pistons saranno poco più di uno sparring partner per i ragazzi di coach Budenholzer, dai quali li separa un divario organizzativo abissale. 4-0

Toronto Raptors – Orlando Magic

Max: primo turno di tutto riposo per i Canadesi, che potrebbero vincere la serie anche schierando solo il secondo quintetto. Tutto questo senza nulla togliere all’enorme lavoro fatto da Clifford in Florida con una squadra di scappati di casa, gente senza arte nè parte che si è sbattuta tutto l’anno e alla fine ci ha creduto. Tanto di cappello, ma ora con Kawhi si è finito di scherzare. 4-0

Giorgio: la bella rincorsa finale dei Magic, guidati da uno spettacoloso Nikola “I’m in Contract Year” Vucevic, li ha portati a raggiungere una postseason che solo fino ad un mese fa sembrava un miraggio. Toronto però è squadra superiore sotto ogni punto di vista e nel primo anno senza lo spauracchio LBJ ha tutte le intenzioni di andare fino in fondo. Simply too much. 4-0

Andrea: Toronto è forse l’unica, solida certezza della griglia playoff a est del Mississippi. Non si accontenteranno di niente di meno della finale, e hanno l’esperienza necessaria per macinare gli avversari di più bassa caratura (come sarà il caso per questi Magic, finiti lì un po’ per caso). Vedremo più avanti, Toronto è attrezzatissima per le Finals e senza vedersi davanti il faccione di LeBron al secondo turno l’aria dell’Ontario potrebbe rasserenarsi. 4-0

Francesco: Se per Kawhi Leonard e Toronto il bello inizia ora, per i Magic di Vucevic l’obiettivo stagionale era semplicemente approdare ai Playoffs; una differenza d’ambizioni che lascia poco spazio per un pronostico aperto. Sarà viceversa una serie importante per alcuni giocatori di Orlando che avranno l’opportunità di misurarsi con il basket NBA “vero”, mentre per i Raptors questo primo turno costituirà un utile rodaggio in vista delle battaglie che li attendono dal secondo turno in poi. 4-0

Philadelphia 76ers – Brooklyn Nets

Max: lo dichiaro subito, sono innamorato perso di questi Nets, di come sono stati resuscitati dalla nuova dirigenza scuola Spurs, dai colori, dallo stile di gioco, dall’anima della squadra. Nel loro piccolo, hanno molto più talento dei Magic, ma questo non vuol dire purtroppo che siano già pronti ad impensierire Philadelphia in una serie di Playoffs. Peccato. 4-1

Giorgio: I Nets sono forse la più bella sorpresa della stagione e potrebbero strappare una gara in casa di puro entusiasmo giovanile, magari approfittando di un Embiid che potrebbe iniziare la serie in tribuna. Ma i Sixers hanno semplicemente troppa qualità ed esperienza per non prevalere alla distanza. P.S. Il duello Boban Marjanovic vs Jarret Allen promette spettacolo puro. 4-1

Andrea: I Sixers sono un’altra grande incognita, alla fine tutto il talento di cui dispongono ha cominciato a fruttare, ma coi malumori di Butler c’è paura che il giocattolo si rompa da un momento all’altro. I Nets sono clienti scomodi perché, all’opposto, non hanno nulla da perdere e vengono da un brillante finale di stagione. Con un Embiid così dominante, però, non si scende a compromessi. 4-2

Francesco: Joel Embiid e Philadelphia sono gli ovvi favoriti del pronostico, perché Brooklyn è una franchigia encomiabile per idee e professionalità, ma dispone di un roster che non definiremmo una cornucopia di talento. Nelle sue vesti di GM Elton Brand ha costruito un quintetto a base di star-power, aggiungendo Tobias Harris e Jimmy Butler a Simmons e Embiid. La struttura dei Sixiers potrebbe pagare dazio più avanti nei Playoffs, quando la pochezza della second-unit verrà esposta, ma contro Russell e Kurucs dovrebbe bastare la forza d’urto dello starting five. Restano da appurare le reali condizioni fisiche di Embiid (la sua assenza cambierebbe completamente la serie) e la sensazione è che coach Atkinson sia due piste avanti rispetto a Brett Brown. 4-2

Boston Celtics – Indiana Pacers

Max: Finalmente una serie ad Est con un minimo di rischio upset. Ma solo un minimo, perchè i BiancoVerdi hanno Irving, e Indiana… Collison. O Boston implode, oppure l’upset non si vedrà neanche in cartolina. 4-2

Giorgio: i Celtics sono favoriti, ma soltanto perché i Pacers sono orfani del povero Oladipo. Serie comunque tirata, che sarà soltanto l’antipasto di una postseason che si preannuncia decisamente complicata per quelli in verde, non tanto per la qualità del roster (che è altissima) quanto per uno spogliatoio che sembra sempre ad un millimetro dall’implosione. 4-3

Andrea: Boston ha vissuto una stagione deprimente, puntava molto più in alto, ma paradossalmente ai playoff potrebbe fare meglio – negli scontri diretti con le big ha uno score invidiabile. Però mancherà Marcus Smart, che è l’anima di questa squadra, mentre i Pacers hanno già fatto gli straordinari senza Oladipo – che è l’anima e pure il corpo. Immagino una serie combattuta ma non troppo spettacolare, i Celtics dovranno cercare di uscirne con entusiasmo. 4-3

Francesco: Orfani di Victor Oladipo, i Pacers si sono dimostrati resilienti e capaci di ripetere l’ottimo 2017-18, confermando la bontà tecnica del progetto portato avanti ad Indianapolis. Boston è una franchigia di ben altra levatura, ma l’infortunio di Marcus Smart ha generato una certa irrequietudine presso chi ne conosce il peso emotivo (e difensivo) per i bianco-verdi, in previsione di una serie che non sarà vinta di puro talento. Indiana ha costruito le sue fortune battendo con costanza le squadre abbordabili, mentre la nuova coppia Horford-Baynes assemblata da coach Stevens ha ridato slancio alla squadra, e dovrebbe bastare per avere la meglio di Sabonis e compagni. 4-2

Golden State Warriors – Los Angeles Clippers

Max: Dopo una stagione sotto il par per i loro standard, i Warriors si ripresentano in questi playoffs con lo stesso personale delle ultime 4 stagioni più un Cousins quasi in salute. I Clippers non avranno timore ad affrontarli in partite ad alto ritmo, ma non è detto che sia un bene, per loro. 4-1

Giorgio: Non è chiaro se esista qualcuno in grado di fermare questi Warriors, ma è decisamente improbabile che possano farcela i Clippers. La grande stagione di Gallinari e soci (seppur finita in calando) merita comunque il massimo rispetto, mentre per i Dubs questa serie servirà soltanto come riscaldamento in attesa di avversari più attrezzati al confronto. 4-1

Andrea: Bella la storia dei Clips, avvincente il modo in cui hanno difeso il posto nella griglia playoff e grandi speranze per il Gallo in azzurro, ma Golden State ha altro a cui pensare e non credo che si distrarranno al punto di cedere una partita. Avanti un altro. 4-0

Francesco: Recentemente rullati in RS con un distacco finale di 27 punti, i Clippers di Rivers e Gallinari (per quanto encomiabili e sorprendenti) sono probabilmente l’avversario che Steve Kerr si augurava di incontrare al primo turno. I Dubs hanno vinto tre dei quattro incontri stagionali, e l’unica flebile speranza per Los Angeles è che G-State si presenti scarica mentalmente al cancelletto di partenza. Difficile che succeda, anche considerando le 16 vittorie su 18 partite con cui Curry & Co. hanno inaugurato le loro recenti scorribande ai Playoffs. 4-1

Denver Nuggets – San Antonio Spurs

Max: Prevarrà il bel gioco di Denver o il sistema Spurs? Jokic riuscirà ad essere efficace anche nei playoffs o avrà la meglio Aldridge nello scontro diretto? Teoricamente San Antonio è più corta e DeRozan non è esattamente un giocatore da post season, ma di Popovich ce n’è uno solo. 4-3

Giorgio: Giovani contro vecchi. Freschezza contro esperienza. I Nuggets di Jokic meritano solo applausi per la stagione disputata, ma per far fuori Popovic in una serie alle sette partite potrebbe non bastare. Gli Spurs troveranno il modo di “rubare” una delle prime due gare in Colorado e di mantenere il fattore campo fino alla fine. Almeno secondo me, che notoriamente nei pronostici non ci prendo mai… 2-4

Andrea: Onore al merito per San Antonio, altra qualificazione guadagnata contro i favori del pronostico, ma Popovich ha anche beneficiato del livello calante della competizione nelle fasce medio-basse della Western Conference. Questi Nuggets sono all’esordio playoff e rischiano di sudare più del dovuto coi veterani in neroargento, ma non credo che abbiano conquistato il secondo posto per caso. Si inizierà a capire, però, se la pallacanestro di Jokic e compagni può essere adatta anche alla postseason. 4-3

Francesco: Apprezzatissimi dalla critica, divertenti e vincenti, i Denver Nuggets inizieranno i Playoffs con un’autentica prova del fuoco: San Antonio non è più una contender, ma resta una squadra pericolosa, ben allenata ed esperta. Coach Malone ha fatto autoironia parlando dell’argenteria di Popovich, ricordando che il suo unico anello è quello del matrimonio, e questo rende l’idea di come Denver (prima apparizione ai PO dal 2013) non si senta affatto favorita, a dispetto della seconda piazza ad ovest. Il rendimento di Nikola Jokic sarà l’epicentro della serie, ma occhio anche all’esperienza di Millsap e ai possibili passaggi a vuoto di DeRozan. 3-4

Houston Rockets – Utah Jazz

Max: Discreta gatta da pelare per i Rockets, che comunque sono cresciuti per tutta la stagione ritrovando almeno in parte l’efficacia difensiva della passata stagione. Sull’attacco niente da dire, palla ad Harden e Paul e pedalare. I Jazz come tutte le squadre ben organizzate e povere di talento nei Playoffs faranno fatica, è ingiusto ma è così. 4-1

Giorgio: E se… Harden è un mostro e i Rockets sono pur sempre (più o meno) gli stessi che meno di 12 mesi fa sono andati ad un bicipite femorale di distanza (forse) dal detronizzare Golden State. Ma occhio perché Quinn Snyder è un cliente (molto) scomodo e la Energy Solutions Arena il campo più caldo della NBA. L’uomo barometro della serie? Joe Ingles. Vado con l’australiano e con il clamoroso upset. 2-4

Andrea: Utah è un’ottima squadra ma Donovan Mitchell si è già giocato il fattore sorpresa e non c’è molto che coach Snyder possa opporre ai Rockets che, in un modo o nell’altro, dopo l’inizio disastroso si presentano ai playoff con una situazione ideale. Dateci la rivincita coi Warriors, please. 4-1

Francesco: Complice il percorso accidentato di Houston, quella che era stata nel ’18 una semifinale di Conference, si ripropone a 12 mesi di distanza già al primo turno, e saranno scintille tra Harden e Mitchell, tra Gobert e Capela, oltre che tra due allenatori intriganti per capacità di costruire una “cultura” (e in fondo, anche questa può essere una lettura, sia pure un po’ scontata: la difesa di Snyder contro l’attacco di D’Antoni). Terrà banco anche la tenuta fisica del rientrante Derrick Favors, e, per Houston, il rischio è di scontare sul più bello tutta la fatica (fisica e mentale) di una stagione trascorsa rincorrendo. 4-3

Portland Trail Blazers – Oklahoma City Thunder

Max: Scommettere contro i Blazers ai playoffs è troppo facile, dopo la brutta figura rimediata la passata stagione contro dei Pelicans non irresistibili. Questi Thunder a livello di quintetto possono essere stellari, a livello di panchina molto meno. La sfida nella sfida Lillard – Westbrook sarà spettacolare, quella Kanter – Adams un filino meno. 2-4

Giorgio: Il bruttissimo infortunio di Nurkic ha messo una pietra tombale sui sogni di gloria dei Blazers, spiace soprattutto per Lillard che sembra letteralmente perseguitato dalla sfiga. I Thunder sono incostanti, brutti e confusionari. Ma difendono come pazzi e la coppia Westbrook + George può davvero fare sfracelli. Sono tre anni che metto su OKC il mio dollaro “sbagliato” per la finale NBA, sarà finalmente la volta buona? 1-4

Andrea: Spiace pronosticare un’altra uscita di scena prematura dei Blazer, identica all’imbarcata presa l’anno scorso dai Pelicans, ma l’infortunio di Nurkic è uno di quei colpi che ti toglie il fiato. Portland va avanti a forza di regular season solidissime, ma pecca in entusiasmo e ha già dimostrato di subire molto questi cali di umore. OKC, al contrario, non ha mai convinto del tutto in queste 82 partite ma ha sempre dato l’impressione di avere qualche chip da parte, da mettere sul piatto nei playoff, e potrebbero mangiarsi i Blazers semplicemente col maggiore agonismo. Il Paul George visto quest’anno merita una deep run, considerando anche che Golden State e Houston sono dalla parte opposta del tabellone. 0-4

Francesco: Sarà Portland ad avere il fattore campo, ma lo sweep rifilato da OKC ai Blazers nel corso della Regular Season parla chiarissimo: i favoriti, anche e soprattutto dopo il terribile infortunio dello sfortunato Jusuf Nurkic, sono Russell Westbrook e compagni, a partire dal clamoroso Paul George di quest’annata vissuta in stato di grazia. L’impressione è che la tenzone abbia un padrone tecnico abbastanza chiaro (per quanto Stotts sia probabilmente migliore di coach Donovan), e servirà davvero una serie devastante da parte di Lillard & McCollum per dare ai Trail Blazers una chance di competere. 1-4

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Toronto Raptors vs Orlando Magic: Preview

Una contender habituè dei playoff contro un underdog di inizio stagione: si racchiude così Raptors-Magic, serie tra un team che ha dominato in largo e in lungo la regular season, insieme ai Bucks, e una squadra da sempre in rampa di lancio ma arrivata più volte al mese di marzo senza più speranze di proseguire la corsa.

Attenzione però: se i Magic sono arrivati a destinazione con un dignitosissimo settimo posto totale a Est, un record finalmente sopra al 50% (42/40) e la vittoria nella Southeast lo devono per lo più ad un gruppo fatto di veterani arrivati alla maturazione definitiva e non a giovani rivelazioni come ad esempio Isaac ma soprattutto Bamba.

Lo scatto d’orgoglio delle ultime settimane è avvenuto grazie alla costanza di un giocatore ormai affermato come Nikola Vucevic, aiutato nell’impresa dai sempre costanti D.J. Augustin, Evan Fournier e ad un sesto uomo coi fiocchi come Terrence Ross, letteralmente decisivo nello sprint finale coi suoi 23 di media a partita nella fase più calda della stagione, dimostrando così una inusuale mentalità vincente e grande personalità. Sempre funambolico in attacco ma molto scostante nelle altre fasi Aaron Gordon.

Dal canto loro i Raptors arrivano all’esame della maturità, quello decisivo per la loro storia. I campionati passati fatti di record abbattuti, primi posti di conference e un costante spettacolo sul parquet non bastano più: si punta all’obiettivo minimo delle Finals.

Negli scontri diretti di questa annata registriamo una vittoria al fotofinish di Toronto grazie a Danny Green, a seguito di un’eroica rimonta degli avversari a fine novembre, un dominio Magic dopo Natale dove lasciarono gli avversari al 29% dal campo e col maggior scarto di punti di tutto il 2018/19, un’altra W in trasferta per Ross e compagni il 24 febbraio con l’ex Raptors dominante ed infine i canadesi ad interrompere di recente la striscia vincente degli avversari grazie ai 29 del solito Green.

Se ci fosse logica nei trascorsi tra le due compagini potremmo concludere che sarà una serie equilibrata; dal nostro punto di vista però sarà difficile che Toronto si lasci sfuggire il secondo turno. Quel che è certo è che i ragazzi di Clifford faranno soffrire quelli di Nurse.

Il ritorno in postseason di Leonard sarà la chiave di tutta la serie, l’ago della bilancia che dovrebbe risultare decisivo per i suoi, più che per la fase difensiva – sempre di livello – per quella offensiva. Infatti con lui a sviluppare un gioco più eclettico in avanti coi classici movimenti cadenzati ma immarcabili, si libererano spazi perimetrali per i tiratori invece in difficoltà se pressati (Lowry, Green, VanVleet, Lin e Siakam) coinvolgendo inoltre pure in post il gruppo di lunghi probabilmente dalla mano più calda da fuori di tutta la lega (lo stesso Siakam, Ibaka, Gasol).

Saranno importanti e cruciali però le sue percentuali dal campo e quale stratagemma Clifford (tre apparizioni ai playoff su sei da head coach) studierà per limitarlo. E’ proprio la sua esperienza e abitudine al palcoscenico da playoff il motivo della mossa a sorpresa di Masai Ujiri nella offseason 2018.

Ci sentiamo di nominare ancora DG#14 come altra chiave della sfida per i suoi, vuoi per il feeling col vecchio compagno sperone, per l’indottrinamento da Pop e l’affidabilità a marcare i veloci top scorer avversari, ma anche perché, come accennato, è proprio contro i Magic che riesce ad esprimersi al meglio (14 pts, 50% da tre, 4.5 reb e 2 assist per game).

Ribadiamo per Orlando Vucevic e Ross come pedine per scardinare la difesa avversaria. Il primo ha disputato la stagione della vita da tutti i punti di vista, fino a divenire il primo All-Star del club dai tempi di Dwight Howard (2012) ed è oggi un “7-footer” versatile in ogni zona del campo e quindi difficilmente contrastabile sia sotto al ferro che da fuori. Vuc è migliorato anche come uomo squadra e regista, aiutando il coach a limitare proprio quella che è una delle lacune principali da anni qui in Florida. Proprio in uno degli head to head stagionali con i prossimi avversari ha sfiorato la tripla doppia.

Il secondo è l’unico giocatore che da profondità al roster e potrebbe risultare una variabile impazzita.

Negli sport americani fare previsioni è sempre sconsigliato. Certo è che la profondità di un team voglioso di arrivare in fondo e arricchito di due grandi profili da win or go home ad inizio anno, da un esperto e forte top center come Marc Gasol ed un velocista al nono anno NBA come Lin fa pendere i favori dei pronostici tutti per i canadesi.

Raddoppiare Vucevic e Ross lasciando liberi Augustin, Fournier e Gordon è una cosa, farlo con Leonard e Siakam lasciando però spazio a Gasol, Green, Ibaka o Lowry è un’altra.

Orlando farà affidamento sulla fiducia acquisita nella rimonta di fine stagione, sul fatto che non ha nulla da perdere e sull’aggressività difensiva con la quale spesso ha limitato le percentuali altrui; è però anche vero che pure le partite a basso tenore realizzativo sono nelle corde dei Raptors che possono infatti contare su un gioco in marcatura e una panchina secondi a pochi altri.

Inoltre mentre per Toronto è la sesta apparizione consecutiva in postseason, Orlando ritorna dopo sei anni e potrebbe risentirne a livello emotivo e di esperienza.

 

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Caro Dirk ti scrivo

Vi avviso: questo non è un normale articolo come quelli che siete abituati a leggere su queste pagine (o su altre). Non può esserlo, perché il giocatore a cui è dedicato non è soltanto un ex MVP di regular season e di finale NBA, il sesto realizzatore di ogni epoca e un pluridecorato campione con un busto nella Hall of Fame di Springfield già pronto per essere esposto. Oltre a tutto questo, Dirk Nowitzki è il motivo per cui oggi, con oltre 40 primavere già nello specchietto retrovisore, il basket NBA è saldamente la mia prima passione sportiva (con la seconda che arriva terza) e il mio cuore di tifoso sanguina letteralmente per i colori dei Dallas Mavericks.

Ho scoperto Nowitzki quasi per caso, quando reso cestisticamente orfano dal secondo abbandono di Michael Jordan ero alla ricerca di un nuovo giocatore per il quale fare il tifo. Durante quella offseason del 1998, la franchigia di Dallas dell’allora proprietario Ross Perot Jr. e guidata in panchina dallo scienziato pazzo Don Nelson decise di fare due cose decisamente controcorrente: sacrificare la sua scelta numero 6 a nome Robert “Tractor” Traylor (pace all’anima sua) per scambiarla con un semisconosciuto lungo proveniente dall’A2 tedesca e andare a prendere da Phoenix un play canadese con un fisico da impiegato del catasto che nei suoi primi due anni nella Lega aveva fatto solo della gran panchina.

Ecco, non ho memoria precisa dello scambio di scelte con Milwakee o della trade con Phoenix, ma ricordo molto bene la prima volta che ho letto i nomi di Dirk Nowitzki e Steve Nash. È stato subito dopo aver visto questa foto.

L’amore spesso non ha un motivo logico, perlomeno non se parliamo di quello a prima vista. Ecco, nel momento in cui ho visto quel sorriso imbarazzato, quell’orecchino al lobo sinistro e quella orrenda pettinatura bionda, per qualche inspiegabile motivo ho sentito scattare dentro di me una scintilla. Da quel momento in poi, per lui e per quell’altro strano ragazzo ossigenato sulla destra avrei sposato la causa dei semi-derelitti Dallas Mavericks, una squadra reduce da un record di 20 vittorie e 62 sconfitte nell’annata precedente e senza una stagione vincente da otto anni. Se non è amore questo…

Ed è così che, a oltre vent’anni da quello storico draft, mi trovo oggi di fronte all’ultima partita di questo semidio teutonico con il numero 41. Questo pezzo è quindi dedicato a lui e contiene una serie di immaginarie lettere che, nel mio cuore di tifoso, vorrei avergli spedito durante il corso della sua straordinaria carriera. Chissà che un giorno non trovi il modo di fargliele arrivare per davvero…

 

Giovedì 15 Aprile 1999

Caro Dirk.

È stata una stagione difficile, lo so. Prima il lockout, che stava quasi per farti cambiare idea sul trasferimento nella NBA ancor prima di cominciare, ma per fortuna Nelson e Perot sono volati fino a Würzburg per dimostrarti quanto si forte la fiducia che la società ripone in te, forse ancor più di quella che tu stesso credi di meritare. Poi gli avversari americani, che sembra quasi stiano facendo il possibile per farti fare brutta figura, quasi volessero dimostrare a tutti che un europeo non potrà mai venire ad insegnare loro come si gioca a basket.

Anche i giornalisti USA non sono stati particolarmente teneri, ti hanno soprannominato “Irk” Nowitzki perchè dicono che la D di Difesa tu non sappia nemmeno come scriverla. Non farci caso, sono sicuro che presto riuscirai a far cambiare idea a tutti. Forse sei un po’ frastornato dai ritmi e la fisicità che caratterizzano questa Lega, ma hai comunque già fatto vedere diverse cose interessanti e mi pare che con quell’altro biondino canadese tu stia sviluppando un buon rapporto. Si vede da come vi guardate in campo, sono certo che avere un amico in squadra potrà aiutarti nelle giornate più difficili. Tieni duro, perché la tua avventura è appena cominciata.

 

Venerdì 11 Maggio 2001

Caro Dirk.

Le cose iniziano a cambiare, no? Quasi 22 punti e oltre 9 rimbalzi di media… dove sono adesso gli espertoni che ti bollavano come “pacco” solo dopo qualche mese? Ora già cominciano a dire che non si era mai visto un giocatore così alto tirare così bene, che sei un potenziale uomo franchigia, etc… Vabbè, lasciamo da parte le polemiche: sono arrivati i primi playoff della tua carriera e hai subito conquistato uno scalpo eccellente.

Gli Utah Jazz di Stockton e Malone solo pochi anni fa facevano sudare sette camicie ai Chicago Bulls di His Airness Michael Jordan, ma li abbiamo (scusa il plurale ma ormai mi sento parte integrante del team ) mandati a casa senza troppi complimenti. Ok, dopo è arrivata la sconfitta contro gli Spurs (mi stanno un po’ sulle palle questi, speriamo di non doverli incontrare mai più) ma di certo i nuovi Mavs stanno cominciando a far paura a molti. Ormai tu, Nash e Finley siete ufficialmente i nuovi Big Three, manca ancora qualche pezzo e poi potremo puntare davvero al bersaglio grosso.

Ah, a quanto pare abbiamo anche un nuovo proprietario. Questo Mark Cuban sembra un tipo simpatico, di certo non è il classico owner ingessato e poi cavolo, sembra che ci tenga davvero. In panchina pare un tifoso invasato, speriamo voglia aprire i cordoni della borsa e sfruttare al massimo il gruppo che si è creato in questi anni. Non so tu ma io ho sensazioni davvero positive riguardo al futuro.

 

Lunedì 16 Maggio 2005

Caro Dirk.

Ho continuato a temporeggiare sperando di poterti scrivere per festeggiare il tuo primo anello di campione NBA e invece… Prima ci si sono messi i Sacramento Kings, che nel 2002 ci hanno buttato fuori prima di suicidarsi in Gara 7 della finale dell’Ovest contro i Lakers. Poi nel 2003, quando dopo aver rischiato di subire una clamorosa rimonta avanti 3-0 al primo turno contro i Blazers ed esserci vendicati sui Kings in Gara 7 di semifinale, un maledetto scontro fortuito con Ginobili in Gara 3 ti ha costretto ad abbandonare anzitempo le finali di conference, lasciando di nuovo il campo libero a quegli insopportabili “cugini” di San Antonio. Quella è stata veramente una sfortuna, sono sicuro che con te in campo gli Spurs non avrebbero avuto speranza. Nel 2004 a rompere le… uova nel paniere sono stati ancora i Kings, che a quanto pare si esaltano quando vedono le maglie dei Mavericks ma poi finiscono sempre per fallire sul più bello (sempre in gara 7, stavolta contro Minnesota).

E infine quest’anno, il 2005. Ecco, questa credo sia stata per te la sconfitta più difficile da digerire. La partenza del tuo grande amico Steve Nash nell’estate scorsa ha lasciato sicuramente un grande vuoto, nel tuo cuore come in quello di tutti i tifosi di Dallas (compreso il mio). Vederlo andare a Phoenix è stata dura, dover ingoiare la sconfitta proprio contro i Suns all’overtime di Gara 6 delle semifinali di conference lo è stato ancora di più. Certo, dal punto di vista individuale in questi quattro anni sei andato veramente alla grande, all’All Star Game hai sempre una maglia che ti aspetta con il tuo nome dietro e sei ormai riconosciuto come uno dei più forti giocatori dell’intera Lega. Ma so che a te non interessano più di tanto i riconoscimenti individuali: tu vuoi vincere, vuoi portare i Mavericks al primo titolo della loro storia. Abbi fede e ce la faremo, è solo questione di tempo.

 

Sabato 28 Aprile 2007

Caro Dirk.

Ti chiedo scusa. Non ho avuto abbastanza cuore per scriverti dopo la sconfitta nelle NBA Finals del 2006, quando a pochi metri dalla terra promessa Wade, Shaq e Riley (e gli arbitri) ci hanno strappato di mano quel trofeo che sembrava così vicino. Per notti intere non sono riuscito a dormire, frustrato da quelle quattro sconfitte consecutive il cui ricordo è ancora così duro da sopportare per me, figuriamoci per te.

Lo faccio però adesso, quando è ancora fresca la delusione per l’incredibile upset subito al primo turno da quella banda di pazzi dei Golden State Warriors di Baron Davis, Stephen Jackson e del nostro ex coach Don Nelson. E chissenefrega del titolo nel Three Point Contest all’All Star Game, della Gara 7 di semifinale vinta finalmente contro gli odiati Spurs, dei 50 punti in Gara 5 della finale di conference contro Phoenix, del record di franchigia di 67 vittorie, del primo quintetto NBA e persino del titolo di MVP della Lega. Nessuno di questi traguardi credo che al momento ti interessi granché, perché avrai in mente soltanto le cocenti delusioni subite ai playoff in questi due anni. Ecco, oggi ti scrivo per dirti soltanto una cosa: NON MOLLARE!

Non lasciarti prendere dallo sconforto, perché per quanto possa bruciare questa eliminazione non è la fine. Prenditi un po’ di tempo per staccare dalla pallacanestro, magari fai un viaggio (ho un amico che è stato per un mese in giro zaino in spalla in Australia ed è tornato completamente rigenerato, potrebbe essere un’idea) e per qualche settimana cerca di non pensare al basket. Ma quando tornerai, devi gettarti tutto alle spalle e ricominciare a lottare. Nash se n’è andato (anche lui ha vinto un titolo di MVP della Lega ma aspetta ancora il suo primo anello), Finley pure, resti solo tu a guidare questo gruppo e quindi hai la responsabilità di rialzarti per primo e riprendere a tirare nella direzione giusta. Noi ti aspettiamo: torna e sii il leader e il vincente che dentro di te sai di poter essere.

P.S. Tanto per essere chiari: ODIO AVERY JOHNSON!!! È un insopportabile incapace e se lo incontrassi per strada lo metterei sotto con la macchina. Spero solo che Cuban lo cacci subito a pedate e che prenda un allenatore come si deve prima che sia troppo tardi.

 

Lunedì 13 Giugno 2011

Caro Dirk.

Non ho parole. Seriamente, sono passati diversi minuti dal suono della sirena finale di Gara 6 delle NBA Finals a Miami e ancora non riesco ad emettere alcun suono, la gola bloccata da tutte le emozioni vissute in questi ultimi quindici giorni. Ma ti voglio scrivere subito, prima che questo turbinio si attenui per trasformarsi nel sorriso ebete che so mi accompagnerà da qui alle prossime settimane.

Quello che avete fatto in queste Finali è stato eccezionale. La straordinaria rimonta in gara 2, sotto di 15 punti a poco più di 7 minuti dal temine, quella in Gara 4 con i tuoi canestri decisivi nel quarto quarto nonostante la febbre a 38, l’esplosione di Terry in Gara 5 e le sue triple in faccia a LeBron, il super primo tempo dei tuoi compagni in Gara 6 e il tuo sigillo nel finale.

Hornets, Nuggets e Spurs: negli anni precedenti queste tre squadre hanno nuovamente spento sul nascere i nostri sogni di gloria, ma soltanto perché non eravamo ancora pronti, perché i pezzi del puzzle non erano ancora tutti perfettamente al loro posto. Blazers, Lakers, Thunder e Heat (che fantastica vendetta sportiva!) sono stati invece le tappe del percorso che ci hanno condotto finalmente al tanto sospirato anello, il primo per te, per la franchigia, per tutti.

Jason Terry (lui e il suo tatuaggio del Larry O’Brian Trophy, fatto profeticamente proprio qualche giorno prima della partenza di questa stagione) Shawn Marion, Tyson Chandler, Jason Kidd, JJ Barea, Ian Mahinmi, DeShawn Stevenson, Peja Stojakovic, persino quel pazzo assassino di Brian Cardinal e soprattutto quel fottuto genio di Jim Carr… ehm, Rick Carlisle. Ognuno di loro ha portato il suo personale contributo in questa cavalcata vittoriosa, ma nessuno mai potrà mettere in dubbio che senza i tuoi meravigliosi playoff non saremmo qui a festeggiare questo incredibile titolo, che se tu non fossi un signore potresti sbattere in faccia ad un sacco di persone.

In faccia ai bookmakers, che già ci vedevano sfavoriti al primo turno contro i Balzers. In faccia agli analisti, che credevano che i Lakers avrebbero fatto un sol boccone di noi “perdenti”. In faccia alla gioventù dei Thunder, che credevano sarebbe bastata solo la freschezza delle loro gambe per superare una banda di vecchietti. E in faccia ai Big Three di Miami, che recitavano “Not five, not six, not seven…” ma che ora siedono inconsolabili nei loro spogliatoi.

In quello stesso palazzetto, solo pochi metri più in là, ci sono le tue lacrime. Lacrime di gioia, di soddisfazione ma anche di liberazione, perché ora finalmente nessuno potrà mai più permettersi di affibbiarti quell’odiosa etichetta di “loser con cui i supposti esperti classificano i grandi giocatori mai in grado di iscrivere il loro nome nell’albo d’oro della NBA. Come se in uno sport di squadra potesse essere un singolo giocatore, per quanto forte, a determinare la vittoria di un campionato o come se il fatto di non aver mai vinto un titolo potesse trasformare automaticamente in perdente un dieci volte All Star da oltre 20.000 punti in carriera.

Con questo anello e questo titolo di MVP delle finali ti sei tolto davvero un gran peso dalle spalle e ora è il tempo di festeggiare. Perché, come cantavano i Queen, oggi finalmente “We are the Champions”. 

 

Martedì 15 Maggio 2014

Caro Dirk.

Non ti scrivo da un po’. Dopo l’orgia di emozioni del 2011 sono stati anni un po’ sottotono, complice lo smantellamento del nucleo della squadra (prima Chandler e Barea, poi Kidd, Marion e Terry) e un nuovo ciclo che stenta a decollare. Tu continui a produrre prestazioni di assoluto livello (siamo a 26.710 punti and counting) ma il tempo ovviamente passa anche per te e sono arrivati i primi infortuni, dovuti ad un chilometraggio complessivo che comincia a farsi piuttosto elevato, e i risultati della squadra ne hanno ovviamente risentito.

Un cappotto contro OKC al primo turno nel 2012, prima di una stagione 2013 che si è conclusa addirittura senza playoff dopo oltre 12 anni. Quest’anno nonostante le difficoltà abbiamo fatto sudare le proverbiali sette camicie ai soliti Spurs, poi campioni NBA sostanzialmente in carrozza, per cui non credo ci sia nulla di cui rimproverarsi. Oggi hai firmato un rinnovo contrattuale di cui nessuno ha mai dubitato e che ti legherà ai Mavericks fino alla fine della tua straordinaria carriera. Mark Cuban ha detto che sarebbe disposto a rinnovarti anche fino a 73 anni, non posso che essere d’accordo con lui.

 

Martedì 07 Marzo 2017

Caro Dirk.

Che dire di questi ultimi tre anni? I risultati di squadra non sono stati entusiasmanti: due eliminazioni al primo turno da Rockets e Thunder e quest’ultima stagione conclusa con il primo record perdente dai tempi del tuo anno da rookie. Anche le prospettive per il prossimo futuro non sono un granché, siamo in fase di rebuilding e temo ci rimarremo per un po’. Ma dal punto di vista personale hai vissuto questo triennio in una immaginaria corsia di sorpasso, sfrecciando accanto alle più grandi leggende che abbiano mai calcato i parquet della Lega. L’11 Novembre 2014 hai superato il grande Hakeem Olajuwon al nono posto nella classifica dei realizzatori di tutti i tempi, diventando contemporaneamente il primo non-americano per punti segnati nella storia della NBA.

Il 26 dicembre dello stesso anno è stato il turno di Elvin Hayes, mentre il 5 Gennaio 2015 è toccato a Moses Malone finire nel tuo specchietto retrovisore. Entro la fine della stagione hai sfondato quota 28.000 punti e 10.000 rimbalzi, mentre il 23 Dicembre del 2016 persino il grande Shaq ha dovuto cederti la sua posizione in classifica. In mezzo a questa corsa verso l’immortalità cestistica hai persino trovato il tempo, a 37 anni suonati, di piazzare un quarantello contro i Portland Trail Blazers. Roba da superuomini…

Ma il momento più bello di questo triennio è stato sicuramente quello vissuto il 7 Marzo 2017, quando con l’ennesimo “tiro della cicogna” hai superato quota 30.000 punti, con le lacrime sugli spalti del tuo mentore Holger Geschwindner a mischiarsi a quelle di tutti i tuoi tifosi in giro per il mondo. Trentamila… un numero che si fa fatica ad immaginare e che solo tu e altri sei eletti siete stati in grado di superare. Complimenti leggenda!

 

Mercoledì 28 Febbraio 2018

Caro Dirk.

Siamo finiti nella merda per ben due volte in una sola settimana. La prima è stata quando Mark Cuban ha confessato di aver detto ad alcuni tra voi giocatori che da qui alla fine della stagione perdere sarebbe stata la migliore opzione possibile. Questo endorsement al tanking è stato gradito il giusto dai piani alti della Lega e Mark ha potuto ampliare la sua collezione di multe con un Gronchi Rosa da 600.000 dollari. Immagino come la cosa abbia potuto far piacere anche a te, che la parola “perdere” la apprezzi quanto la sabbia nel letto.

Ma il casino vero è legato al lungo reportage di Sports Illustrated, nel quale diverse donne hanno espresso pesanti accuse nei confronti dell’ex amministratore delegato dei Dallas Mavericks e di altri esponenti della franchigia. Si va dalle richieste di rapporti sessuali, ai commenti sessisti, al palpeggiamento durante le riunioni. In pratica hanno definito gli uffici dei Mavs “Animal House in the real life“.

In una tua intervista hai definito la scoperta di questo lato oscuro della tua franchigia come “deludente e straziante”, esprimendo nel contempo il tuo supporto a Cuban nel suo compito di scovare tutti i colpevoli e allontanarli al più presto. Posso immaginare che chi come te ha dato anima e corpo per questa franchigia possa sentirsi tradito, ma tu e i tuoi compagni presenti e passati non avete nessuna colpa, perché le stesse accusatrici hanno precisato come i rapporti con i giocatori e lo staff tecnico siano stati sempre impeccabili e permeati dal massimo rispetto. Questa vicenda rischia di sporcare per sempre l’immagine pubblica della nostra squadra, speriamo solo che possa essere fatta chiarezza e che i vengano tutti individuati e allontanati il più presto possibile.

E dire che in estate hai persino scelto di rinunciare ai 25 milioni che ti spettavano dall’accordo per questa stagione, accettando di trasformarlo in un contratto da 10 milioni in due anni con il fine unico di consentire alla franchigia di avere lo spazio salariale necessario per cercare di migliorare il roster (cosa che peraltro non è avvenuta). Non sono un enciclopedista, ma non credo che nella storia dello sport siano esistiti molti giocatori che hanno rinunciato ad una quindicina di milioni di dollari soltanto per amore verso la propria squadra.

Ai giorni nostri, soprattutto in un certo sport in cui si prende a calci una palla, si abusa molto spesso del termine “bandiera”: bastano un paio di baci alla maglia sotto la curva e l’etichetta è bella che assegnata. Peccato solo che nel mercato successivo molte di queste bandiere tendano a dimenticare i colori sociali della suddetta maglia, per concentrarsi più attentamente sul colore (e la quantità) delle banconote che gli vengono offerte. Ma tu… tu sei diverso. A leggere queste brutte notizie spero non ti sia pentito del tuo nobile gesto, perché puoi star sicuro che quanto hai fatto non sarà dimenticato. Non dalla Mavs Nation. Non da me.

 

Venerdì 11 Gennaio 2019

Caro Dirk.

Pochi minuti fa ho realizzato un sogno. Grazie al preziosissimo pass stampa che scrivere per Play.it Usa mi ha messo a disposizione, ho potuto incontrarti, salutarti e stringere la mano negli spogliatoi del Target Center di Minneapolis dopo la partita tra Mavericks e Timberwolves.Mani due spugne, salivazione azzerata, manie di persecuzione, miraggi.” Questa coltissima citazione dal primo film di Fantozzi descrive esattamente la mia situazione prima di chiederti se potevi fermarti per una foto. La mano tremava talmente tanto che lo scatto è venuto una vera schifezza, ma non mi serve una foto per fissare per sempre nella mia mente quel momento.

Tu eri inca**ato nero, dopo una partita chiusa con uno zero su otto dal campo, ma hai comunque accettato di fermarti e di sorridere all’obiettivo del mio cellulare. Grazie davvero, perché capisco quanto questa tua ultima stagione si stia rivelando difficile da portare a termine. Prima il problema alla caviglia che ti ha tenuto fermo fino a dicembre, poi un ritorno in campo molto difficile per una condizione fisico-atletica che oggettivamente non ti rende più in grado di competere ai livelli a cui eri abituato.

Sono ormai settimane che il pubblico di tutti i palazzetti della NBA ha deciso di celebrarti durante il tuo ultimo giro di giostra, ma nella sua ingenuità il tifoso medio non capisce che gli “Oooh” di entusiasmo quando tiri e le standing ovation quando segni un canestro non sono quello che un campione come te vorrebbe ricevere in questi momenti. Sono sicuro che avresti voluto che quest’ultima stagione assomigliasse molto di più a quella di Tim Duncan che a quella di Kobe Bryant, ma nel corso di oltre vent’anni anni di NBA ti sei fatto talmente amare e rispettare anche dai tifosi avversari che oggi non possono proprio rimanere impassibili di fronte all’ultima occasione che avranno per vederti in azione sul parquet.

Mi viene in mente una famosa canzone dei Coldplay, “Viva la vida”, la cui prima strofa recita così:

“I used to rule the world
Seas would rise when I gave the word
Now in the morning I sleep alone
Sweep the streets that I used to own”

“Ero solito dominare il mondo
I mari si sollevavano quando io lo chiedevo
Ora dormo da solo al mattino
Spazzando le strade che una volta erano mie”

Ecco, credo che nel corso di quest’ultima stagione ti sia capitato varie volte di provare questa sensazione. Credo succeda a tutti quelli che sono stati dei dominatori nel loro sport, abituati nel corso della loro carriera ad essere dei protagonisti e ad essere guardati dagli altri con rispetto, timore, ammirazione.

Ma ricorda che, anche se oggi ti sembra di così difficile stare in campo contro tutti questi giovani, tu potrai sempre portarti dietro la consapevolezza di aver cambiato la storia di questo sport. Perché se vent’anni fa qualcuno avesse detto che un sette piedi tedesco di Würzburg proveniente dall’A2 tedesca sarebbe diventato campione NBA, MVP della Regular Season, MVP delle Finals e sesto marcatore di tutti i tempi, credo sarebbe stato internato di corsa nel primo manicomio disponibile.

Invece è successo. Invece sei arrivato in NBA e hai rivoluzionato la storia del basket. Invece sei diventato un modello a cui altre leggende come LeBron, Wade, Durant, Davis si sono ispirate per modellare il loro gioco. Invece hai fatto innamorare cestisticamente non solo me, ma centinaia di migliaia di persone. Invece… Invece sei stato Dirk Nowitzki. 

 

Mercoledì 10 Aprile 2019

Caro Dirk.

Siamo arrivati all’ultimo capitolo della tua straordinaria storia. Questa notte (come hai annunciato tu stesso ieri sera prima di scriverne TRENTA sul tabellino di addio al tuo pubblico di casa) chiuderai la tua carriera di giocatore professionista di basket e lo farai, oltre a tutto il resto, da leader assoluto di punti, rimbalzi, stoppate, tiri da due, tiri da tre, tiri liberi, partite e minuti giocati nella storia dei Dallas Mavericks.

Prima di te (e forse nemmeno dopo) nessun giocatore è mai stato così indissolubilmente riconosciuto come il volto e l’anima di una franchigia. Tu SEI i Dallas Mavericks e pensare a questa squadra senza di te è praticamente impossibile. Spero che il tuo futuro preveda un ruolo all’interno dell’organizzazione, non sarà la stessa cosa ma sarebbe comunque bello continuare a vederti al palazzetto di Dallas, seppur in borghese.

Qualche settimana fa hai superato anche l’immortale Wilt Chamberlain e concluderai quindi la tua straordinaria carriera al sesto posto assoluto tra i migliori realizzatori di tutti i tempi, con oltre 31.540 punti (dipende da quanti ne farai stasera nella tua ultima partita, che per ironia della sorte giocherai sul parquet degli arcirivali San Antonio Spurs) realizzati in ventuno, lunghissime e meravigliose stagioni.

Lasci una squadra che farà fatica a colmare un vuoto fatto non soltanto di punti e rimbalzi, ma soprattutto di cuore, carattere e leadership. Per fortuna sembra che proprio quest’anno abbiamo pescato al draft un ragazzo decisamente speciale, con il quale (non a caso) sembra tu abbia sviluppato subito una bella amicizia e che ti vede come suo mentore e maestro. Questo giovane sloveno è pronto a raccogliere la tua eredità e per aiutarlo la dirigenza ha portato a Dallas anche un altro giocatore europeo, un lettone che palesemente si è ispirato a te per modellare il suo gioco e che potrebbe essere uno di quei giocatori che definiscono un’intera generazione.

Ecco, Luka Doncic e Kristap Porzingis hanno tutto quello che serve per riportare questa franchigia nell’olimpo della NBA, ma è probabile che durante il percorso avranno bisogno di qualche consiglio, quindi per favore stai vicino ad entrambi e aiutali a rimanere sulla retta via.

Per il resto che cosa posso dirti? Nelle lettere che ti ho inviato in questi ventuno anni trovi un compendio delle emozioni che mi hai fatto provare: rispetto, ammirazione, frustrazione, rabbia, gioia, felicità, ma soprattutto amore. Amore per il gioco del basket, per i Dallas Mavericks e per quel tuo tiro fatato che così tante volte ha accarezzato le reti dei canestri avversari.

Domani forse non sarai più un giocatore di basket, ma di certo nella mia mente il tuo ricordo non invecchierà mai. Grazie… di tutto.

Tuo per sempre, Giorgio

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Celtics – Pacers: Playoffs Preview

La partita tra i Pacers ed i Celtics è quasi sicuramente una preview del primo turno dei playoffs. Le due compagini infatti termineranno la stagione rispettivamente al quarto e quinto posto della East Conference: rimane da decidere in quale ordine. Le due squadre infatti si accingono a questo match con un record 45-31 per Indiana, 44-32 per Boston: in gergo americano, Boston “one game behind” Indiana. La compagine che vincerà questo sprint finale si aggiudicherà il diritto di ospitare una eventuale gara 7 sul parquet di casa.

Atmosfera da playoffs al Garden!

Dunque, da un lato l’interesse per questa partita è dovuta al suo peso nell’immediato futuro di queste due squadre. Dall’altro – per via della alta posta in gioco – è lecito aspettarsi che entrambe le compagini daranno il massimo, il che rende il match un’indicazione affidabile di ciò che vedremo nei playoffs. Una serie che in teoria i Celtics dovrebbero vincere piuttosto facilmente, ma visto l’andazzo in quel di Boston, d’un tratto il fattore campo diventa forse l’elemento determinante nel decidere chi passerà il primo turno.
I Pacers – va riconosciuto – hanno sopperito alla perdita di Oladipo con tanta grinta e voglia di sacrificio: un po’ ci ricordano i Celtics della scorsa stagione. I Green quest’anno hanno avuto una stagione veramente difficile, e praticamente tutti – giocatori, tifosi e stampa – non vedono l’ora che inizino i playoffs. E’ realmente difficile riassumere la stagione dei Celtics. Un’altalena tra periodi in cui si perde, si gioca male e i giocatori se le mandano a dire tramite i microfoni del dopo-partita, e periodi in cui il tifoso più ottimista vuole credere che il peggio è passato e che d’ora in poi sarà tutto come ci si aspettava ad inizio stagione. Ricordate quando i Celtics avevano finalmente messo a tacere tutti i malumori interni su quel volo verso la West Coast? Quando avevano battuto i Warriors di oltre 30 punti, vinto a stento contro Sacramento, battuto la formazione summer-league dei Lakers e perso contro i Clippers di 25 punti? Ecco, appena si cominciava a sperare che si iniziava a fare sul serio, che il terzo posto nella conference era a tiro, i Celtics ne perdono quattro di fila contro Nuggets, 76ers, Hornets e Spurs. E come da copione, appena si ricomincia a perdere, ricominciano anche i malumori ed i battibecchi interni: addio a tutti i “volemose bene” del tanto chiacchierato west coast trip. Kyrie dopo la sconfitta contro Charlotte ad esempio se la prende chiaramente con il coach Stevens, lamentandosi del fatto che Kemba Walker andava raddoppiato e trappato “come fanno tutte le altre squadre nella NBA”. Anche sul campo ritornano le occhiatacce, i rimproveri – per lo più verso il capro espiatorio Jaylen Brown. Riguardo Brown, per tutta la stagione ci siamo domandati il perché di tanta discordia con i compagni ed – ultimamente – coach Stevens. Si, perché Brown ha visto i suoi minuti diminuire costantemente, nonostante negli ultimi due mesi si potrebbe dire che è stato costantemente uno dei giocatori migliori in campo.

Al Horford

Eppure Stevens continua a farlo giocare poco, a levarlo in momenti chiave, anche quando sembra sia l’unico con la voglia di impegnarsi un minimo in difesa. E veniamo al punto dolente di questa stagione, la difesa. I Celtics fino all’anno scorso erano una delle squadre migliori della NBA in fase difensiva. Quest’anno? Not so much. Visivamente, risulta evidente la mancanza di “effort” a tratti da parte un po’ di tutti i giocatori in campo. Anche quando sembra che ci sia l’impegno e la voglia di fare, ci si rende poi conto che spesso si tratta una voglia di giocata individuale piuttosto che cercare la giocata intelligente per il bene ultimo della squadra. Ad esempio, troppo spesso si azzarda nel tentativo di rubare palla o si collassa in raddoppio lasciando vere e proprie autostrade libere sotto canestro. Ma è ormai chiaro che i problemi difensivi vanno ben oltre l’impegno dei singoli, è una crisi sistemica dove gli schemi non danno i risultati sperati o forse semplicemente i giocatori hanno perso fiducia nello stile di gioco dettato da Stevens e tentano di improvvisare e tentare la giocata eroica individuale.
Tanto si è parlato e scritto per tentare di razionalizzare e decifrare questa edizione dei Celtics 2018/19 – tanto blasonata ad inizio stagione – che ha finora deluso le aspettative come poche altre squadre nel mondo dello sport americano. Da semplice osservatore che ha guardato religiosamente ogni partita e che ha avuto anche la fortuna di andare negli spogliatoi in qualche dopo partita – penso che i problemi più grossi siano iniziati durante l’AllStar Break, quando da un lato Kyrie Irving si è rimangiato il proposito di inizio stagione di firmare con i Celtics a lungo termine – “ask me July first“, la risposta stizzita ai cronisti in quella trasferta contro i Knicks. Dall’altro, i trade rumors per Antony Davis secondo cui i Danny Ainge – GM dei Celtics – era pronto a cedere praticamente tutti i giovani – incluso Tatum – per acquisire “The Brow“, anche se solo per una stagione. Il risultato è una squadra che non è più squadra, ma una collezione di individui, ognuno focalizzato a metter su numeri e statistiche per garantirsi un futuro migliore in questo panorama così incerto. Pensateci un attimo, giocatori come Tatum e Brown – 21 e 22 anni – che d’un tratto scoprono che il loro cosiddetto “leader” – Kyrie – probabilmente abbandonerà la nave a fine stagione e la società stessa potrebbe spedirli verso New Orleans quest’estate: è difficile aspettarsi che questi due ragazzi possano continuare a giocare al massimo e per il bene della squadra in una situazione del genere. La speranza di un po’ tutti è che i Celtics arrivino ai playoffs in fase positiva, e magicamente possano mettersi alle spalle tutto questo trambusto iniziando i playoffs come se fosse una nuova stagione. Uno scenario non impossibile, ma che partita dopo partita diventa sempre meno probabile.

La partita contro Indiana è stata sicuramente una boccata di ossigeno per una tifoseria assetata di vittorie e motivi per sentirsi un po’ meno pessimisti. Una partita a tratti bella, dove comunque era evidente la fatica di entrambe le squadre in fase difensiva. Riportiamo di seguito i dettagli del match, quarto per quarto.

Celtics in casacca bianca, in campo iniziano: Baynes, Smart, Irving, Tatum, Horford.
Pacers in uniforme grigia, il quintetto titolare: Collison, Young, Matthews, Turner, Bogdnanovic

Primo Quarto

I primi punti sono di Baynes sotto canestro su assist di Kyrie. Irving subito dopo mette una tripla dall’angolo. Poi ancora Kyrie e Horford, partenza a razzo per Boston 9-1, timeout Pacers dopo appena 2 minuti e 18 secondi di gioco. I Celtics sono partiti decisamente col piglio giusto: tanti movimenti senza palla aprono varchi sotto canestro per lay up facili. Dopo 6 minuti gioco coach Stevens butta dentro Morris al posto di Horford. E’ evidente che Horford sia ancora sotto “minutes restriction“. Poco dopo dentro Hayward, fuori Tatum, Brown dentro per Smart. A 5 minuti dalla fine del primo quarto, in campo Irving, Brown, Morris, Hayward e Baynes. Il pubblico sembra ingaggiato in queste fasi iniziali: brontola non poco per un paio di falli dubbi chiamati contro I Celtics. A tre minuti dalla fine, Boston ha un po’ rallentato dopo la partenza fulminante, Indiana sembra invece aver trovato un po’ di sicurezza: 22-17 Celtics. Al ritorno dal timeout, dentro di nuovo Horford al posto di Baynes. Horford infiamma immediatamente il pubblico con un blocco su Sabonis ed un layup in contropiede subito dopo. Finalmente si vede anche Rozier in campo, dentro a due minuti dalla fine al posto di Kyrie. Horford ancora in evidenza con un bel follow up dopo un layup mancato di Brown in fase di contropiede. Il primo quarto si conclude con i Celtics avanti 35-25. Horford tuttofare 6 punti, 3 rimbalzi e 2 assist, Kyrie e Baynes chiudono il quarto con 7 punti a testa. Tutto bene finora per Boston, anche se ci ha abituato a queste belle partenze per poi collassare nell’ultimo quarto. Staremo a vedere.

Secondo Quarto

Il gioco riprende con i Celtics che schierano Brown, Rozier, Morris, Hayward e Horford. I Pacers rientrano con Joseph, Sabonis, Evans, McDermott e Leaf. Rozier ancora una volt in difficoltà: inefficace in fase di attacco e “soft” in fase difensiva dove troppo spesso concede il layup facile e l “and one” all’avversario di turno. Risultato? I Pacers nel giro di 2 minuti e mezzo vanno si riportano a 3 punti, 38-35 Celtics, timeout Stevens. In attacco i Celtics continuano ad inanellare palle perse concedendo canestri facili in fase di contropiede: Indiana comincia a crederci. E poi Tatum mette due triple di fila, ristabilendo un po’ di cuscinetto per Boston: 48-41, timeout Indiana.
Stevens mette dentro Irving, con Rozier, Tatum, Baynes e Brown. I Celtics patiscono molto in difesa ed infatti subito dopo Stevens corregge, fuori Rozier, dentro Smart. Hayward c’è da dire sta tornando lentamente il giocatore di un tempo. Una piccola dimostrazione è la palla rubata in difesa e il contropiede solitario e dunk per finire. Solamente un paio di mesi fa era impensabile per Hayward questo tipo di giocate esplosive. I Pacers certamente non hanno brillato in questa prima metà della partita, ma sono riusciti a segnare 60 punti a questa difesa colabrodo dei Celtics. Il primo tempo si conclude 63-60 per i Celtics. Boston in attacco ha messo il 51% dei tiri dal campo (25/49), 9 su 17 dai tre punti, 18 assist, 26 rimbalzi, 3 palle rubate e 8 palle perse. Indiana 48% dal campo (21/44) e 7 su 12 dai 3 punti, 14 assist, 19 rimbalzi, 5 palle rubate e 6 palle perse.

Terzo Quarto

I Celtics rientrano col quintetto di partenza, stessa cosa per i Pacers: Collison. Un inizio di secondo tempo favorevole alla squadra di casa: dopo 5:30, 78-71 Celtics, timeout Indiana. Stesso copione del primo tempo: Horford è il primo ad uscire, Morris dentro al suo posto. E come nel primo tempo, subito a seguire Hayward dentro per Tatum.
Entrambe le squadre non sembrano voler rompersi la schiena in fase difensiva: canestri facili per tutti oggi. In questo botta e risposta, i Pacers azzeccano qualche tripla, mentre i Celtics continuano a perdere palla in attacco concedendo punti facili in contropiede. A 3 minuti dalla fine del quarto, Indiana si ritrova avanti di un punto 85-84. I Celtics rientrano con Horford, Irving, Hayward, Brown e Baynes. Poco dopo Rozier dentro per Smart. I Celtics vanno “big”, Stevens sembra molto preoccupato per la stazza di Turner – e giustamente direi. Finora Turner ha 15 punti e 6 rimbalzi, i Celtics non sembrano riuscire a fermarlo se non facendo fallo. Il quarto si conclude con i Pacers avanti di 2 punti, 91-89.

Quarto Quarto

I Celtics rientrano con Brown, Rozier, Morris, Hayward e Horford. Indiana con Joseph, Sabonis, Evans, McDermott e Leaf. Rozier di nuovo una prestazione da dimenticare. Finora un punto e 4 assist e tanti errori sia in fase di attacco – turn overs – che in fase difensiva, dove anche per la sua statura può fare ben poco. Horford decisamente migliore giocatore in campo, continua a dettare i tempi in attacco e a segnare con le spalle al canestro. Si permette anche un paio di sfuriate contro l’arbitro, che sbaglia per due volte assegnando palla ad Indiana quando nel replay risultava evidente l’ultimo tocco da parte di uno dei Pacers: da grande professionista – anche nei momenti in cui le emozioni si fanno sentire – Horford rimane sempre nei limiti, mai sfociando nel fallo tecnico.
E poi Rozier – una serata assolutamente da dimenticare – riesce in fase di rimbalzo difensivo a metterla nel proprio canestro, riportando i Pacers avanti di un punto, 99-98. Auto-canestro?
A 6:30 dalla fine, il punteggio è di 100-99 Celtics. Dopo un timeout dei Pacers, i Celtics si ripresentano con: Kyrie, Tatum, Baynes, Brown e Smart. E’ Kyrie time! E infatti, ruba palla in difesa e sull’azione seguente dribbla tutti e la mette “off the glass” come solo lui sa fare. A seguire Brown mette una tripla e di nuovo timeout Indiana: 105-99 Celtics. I Celtics rientrano con lo stesso quintetto, Indiana rientra con Collison, Young, Matthews, Turner e Bogdanovic. E’ il turno dei Pacers: 6 punti di fila e di nuovo in parità, 105-105, timeout Stevens a 4 minuti dalla fine. Bogdanovic implacabile, finora con 27 punti per Indiana.
Stesse formazioni in campo, Kyrie raccatta due tiri liberi e riporta i Celtics avanti di due, 107-105. Intanto Stevens butta dentro Horford per Tatum. I Celtics continuano a patire la stazza dei Pacers. A 41 secondi dalla fine – in parità – Young grazia i Celtics e si mangia un layup facile facile e Stevens chiama subito un timeout: 112-112. Dentro Morris, Smart, Kyrie, Horford e Brown. La giocata risulta in una palla persa di Kyrie in fase di dribbling, restituendo palla ad Indiana che chiama il suo ultimo timeout a 27 secondi dalla fine. Dentro Baynes, fuori Morris. I Celtics questa volta difendono bene e riescono a raccogliere il rimbalzo dopo il miss di Indiana, timeout Celtics a 10 secondi dalla fine.

A questo punto Boston cercherà di mettere il buzzer. La palla arriva come da copione a Kyrie che va a canestro. Non è proprio un buzzer beater, ma Kyrie la mette con mezzo secondo rimasto da giocare. La partita finisce con i Celtics vittoriosi 114-112, il Garden finalmente si gode una serata a lieto fine.

Le Statistiche

I Pacers registrano un buon 47% dal campo ed un ottimo 44% dai tre punti (12 su 27), un totale di 41 rimbalzi e 27 assist, 12 palle perse e 9 palle rubate. Boston finisce ad oltre il 51% dal campo, un eccellente 48% “from downtown” (13 su 27), un totale di 43 rimbalzi, 14 – troppe – palle perse e 8 palle rubate.

Per Indiana, spicca su tutti Bogdanovic con 27 punti, un efficient 8 su 13 dal campo, con 4 su 7 “from downtown“. Seguono Young con 18 punti ed un ottimo Myles Turner che riporta un double-double con 15 punti e 11 rimbalzi e 3 su 6 dai tre punti.

Super Aaron Baynes!

Per Boston, il solito Kyrie con 30 punti, 5 assist – pochini per un point guard – e 3 palle rubate. Irving in serata altalenante, 50% dal campo – 11 su 22 – e 3 su 8 dai tre punti. A seguire Horford – miglior giocatore in campo questa sera con 19 punti – 8 su 15 dal campo – 7 rimbalzi e 3 blocchi. Per Jaylen Brown una prestazione veramente efficiente: Brown si conferma in forma e decisamente a suo agio nel nuovo ruolo “off the bench“, riportando 16 punti – 7 su 10 dal campo – in appena 27 minuti di gioco. Praticamente tutti gli addetti ai lavori si domandano come mai Stevens si sia intestardito nel far giocare poco Jaylen Brown, chiaramente uno dei giocatori più in forma da qualche mese a questa parte. Hayward sembra sempre più il giocatore pre-infortunio: questa sera una buona prestazione, con 11 punti – 4 su 7 dal campo – e 6 rimbalzi. Per concludere, Aaron Baynes, con un double-double ed una prestazione da incorniciare con 13 punti e 13 rimbalzi. Per una volta gli addetti al marketing dei Celtics ci hanno azzeccato, tappezzando il Garden con volantini di Baynes raffigurato stile superman.

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Le ultime flebili speranze degli Hornets

L’incredibile canestro di Jeremy Lamb da metà campo a Toronto, oltre ad un bellissimo e spettacolare festeggiamento di gruppo all’interno del parquet, sembrava un segno del destino per la franchigia del North Carolina, imbrigliata nel marasma generale dei posti limitrofi all’ottavo nella Eastern Conference.

Preceduto e seguìto dalle vittorie casalinghe in clutch time contro Minnesota, Boston e San Antonio aveva inoltre riportato Charlotte a un tiro di schioppo (1 incontro) dallo spot numero otto di Miami e Orlando e dalle seste Brooklyn e Detroit (2 match).

Arrivare a giocarsi la qualificazione in postseason nel mese di Marzo con l’obbligo di vincere quasi sempre per ottenerla non è però nelle corde di un team da parecchio tempo invischiato in un limbo senza uscita, che fa degli Hornets una squadra troppo forte per un tanking selvaggio ma anche esageratamente debole per vincere una serie ad eliminazione diretta.

La sfortuna di “beccare” LeBron James (risparmiato di recente da Walton per ordini dall’alto) e i Warriors anch’essi alla disperata ricerca di W – per altri e più nobili motivi – ha riportato coi piedi per terra Kemba e compagni e nel momento in cui lo scrivente inizia il suo pezzo le speranze di agguantare i playoff sono ridotte al lumicino.

Analizzare l’andamento della stagione di Charlotte è abbastanza semplice; le discutibili gestioni dirigenziali di Michael Jordan, assolutamente distante dietro la scrivania rispetto a quando dettava legge in campo, hanno contribuito ad accumulare un monte stipendi imponente che ha lasciato pochi margini di manovra per rafforzare il roster.

Il team, le cui redini sono state cedute ad uno dei migliori allievi di Pop a San Antonio (James Borrego), per acquisire da un lato la dottrina Spurs e dall’altro porre una ventata di aria fresca da queste parti, ha vissuto l’anno con gli stessi e preventivati alti e bassi del passato recente, con un record sempre tra il 42 e 45%, proprio per l’incapacità di progredire a fronte di contratti esagerati e bloccanti, nonostante il fardello di Dwight Howard non sia più presente.

Se facciamo un esempio col lavoro di Vlade Divac a Sacramento arriviamo a capire meglio il succo della questione: lì con i giocatori simbolo giovani o veterani ancora in progressione (Fox, Hield, Bogdanovic, Bagley e Cauley-Stein) e un payroll spazioso (quasi 30M in meno che qui) si può lavorare nel presente ma anche per il futuro grazie alla crescita dei ragazzi in squadra e alle trade per migliorare reparti deficitari che si verrebbero a creare.

In Carolina del nord invece nei pressi dello start si è provato solo ad aumentare il livello della rotazione, uno dei vecchi talloni d’Achille, con l’arrivo della leggenda Tony Parker, mai giunto però a livelli top, a parte un ottimo metà Gennaio a 13 di media, per colpa di un minutaggio in calando passato da quasi 20 minuti a partita a 14 fino proprio a vedersi scomparire dal parquet e dalla seconda unità per scelta tecnica, con susseguente faccia buia.

Come al solito Kemba Walker si è dimostrato un giocatore eccezionale per solidità, tecnica e rapidità migliorando oltre che sui punti (25.2 per game) anche sui rimbalzi totali, assist e steals. Il suo atteggiamento coi compagni inoltre è da lodare per abnegazione e pazienza dimostrata, riuscendo (con successo) a non far mai trasparire i possibili malumori interiori, dovuti dall’essere ancora costretto a 28 anni a divincolarsi in posizioni di classifica non consone alla sua immensa classe.

Forse il romanticismo e la riconoscenza per chi ti ha fatto sbocciare in NBA (anche se a fianco di Clifford) è ancora presente ai giorni d’oggi, ma di sicuro non sono infiniti. La free agency alle porte, l’anno che non dovrebbe concludersi con la tanto agognata postseason, l’età avanzata e un alone da All Star non più sottovalutata come in passato daranno a KW molti estimatori d’elite che potrebbero convincerlo a sbarcare il lunario altrove rinunciando alle offerte di Kupchak e MJ, che (ovviamente) non dovrebbero scendere da un minimo di 200M quinquennali per riuscire a convincerlo.

Sarebbe una perdita stratosferica, sia a livello morale e motivazionale che tecnico; la stagione è iniziata sapendo che con lui in campo gli Hornets hanno un differenziale positivo (+3.4) rispetto al periodo in cui riposa in panchina (-7.8): numeri impietosi che rimarcano l’importanza del newyorchese.

E’ ironico vedere come gli onerosi accordi con Batum (ancora 24M annui a salire fino al 2021), Marvin Williams (idem a 14M per due anni) e Cody Zeller (tre campionati a 13.5 – 14.5 – 15.4), rispetto ai 12 di Kemba, rappresentino una spada di Damocle che inchioda Charlotte alla mediocrità e all’impossibilità di crescita.

E’ comunque ancora grazie a lui e al modo in cui li trascina attraverso le situazioni più difficili e complicate se la stagione sta terminando con qualche lampo e luce dai prospetti futuri. Malik Monk, ma soprattutto Miles Bridges (chiamato in lotteria a Giugno) e Dwayne Bacon stanno concludendo l’anno lasciando qualcosa di positivo che potrà essere utile nei tempi a venire.

Soprattutto le parole della stella e leader carismatico verso di loro hanno lasciato il segno, aprendo molte porte su un possibile prosieguo insieme. Walker infatti ne ha esaltato le lodi per cattiveria agonistica, energia e velocità, affermando addirittura di non riuscire a rimanere al loro passo e, ancor più importante, ha aggiunto di volersi impegnare al massimo per la loro consacrazione all’interno del team, sia oggi che domani!

Borrego stesso parla del suo campione come un esempio, che rimane a bordo campo a fine match e negli allenamenti a catechizzare i suoi ragazzi, compresi Graham e Kaminsky: atteggiamento da grande uomo ma anche da chi ha dei progetti a lungo termine qui a Charlotte. Staremo a vedere.