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Caro Dirk ti scrivo

Vi avviso: questo non è un normale articolo come quelli che siete abituati a leggere su queste pagine (o su altre). Non può esserlo, perché il giocatore a cui è dedicato non è soltanto un ex MVP di regular season e di finale NBA, il sesto realizzatore di ogni epoca e un pluridecorato campione con un busto nella Hall of Fame di Springfield già pronto per essere esposto. Oltre a tutto questo, Dirk Nowitzki è il motivo per cui oggi, con oltre 40 primavere già nello specchietto retrovisore, il basket NBA è saldamente la mia prima passione sportiva (con la seconda che arriva terza) e il mio cuore di tifoso sanguina letteralmente per i colori dei Dallas Mavericks.

Ho scoperto Nowitzki quasi per caso, quando reso cestisticamente orfano dal secondo abbandono di Michael Jordan ero alla ricerca di un nuovo giocatore per il quale fare il tifo. Durante quella offseason del 1998, la franchigia di Dallas dell’allora proprietario Ross Perot Jr. e guidata in panchina dallo scienziato pazzo Don Nelson decise di fare due cose decisamente controcorrente: sacrificare la sua scelta numero 6 a nome Robert “Tractor” Traylor (pace all’anima sua) per scambiarla con un semisconosciuto lungo proveniente dall’A2 tedesca e andare a prendere da Phoenix un play canadese con un fisico da impiegato del catasto che nei suoi primi due anni nella Lega aveva fatto solo della gran panchina.

Ecco, non ho memoria precisa dello scambio di scelte con Milwakee o della trade con Phoenix, ma ricordo molto bene la prima volta che ho letto i nomi di Dirk Nowitzki e Steve Nash. È stato subito dopo aver visto questa foto.

L’amore spesso non ha un motivo logico, perlomeno non se parliamo di quello a prima vista. Ecco, nel momento in cui ho visto quel sorriso imbarazzato, quell’orecchino al lobo sinistro e quella orrenda pettinatura bionda, per qualche inspiegabile motivo ho sentito scattare dentro di me una scintilla. Da quel momento in poi, per lui e per quell’altro strano ragazzo ossigenato sulla destra avrei sposato la causa dei semi-derelitti Dallas Mavericks, una squadra reduce da un record di 20 vittorie e 62 sconfitte nell’annata precedente e senza una stagione vincente da otto anni. Se non è amore questo…

Ed è così che, a oltre vent’anni da quello storico draft, mi trovo oggi di fronte all’ultima partita di questo semidio teutonico con il numero 41. Questo pezzo è quindi dedicato a lui e contiene una serie di immaginarie lettere che, nel mio cuore di tifoso, vorrei avergli spedito durante il corso della sua straordinaria carriera. Chissà che un giorno non trovi il modo di fargliele arrivare per davvero…

 

Giovedì 15 Aprile 1999

Caro Dirk.

È stata una stagione difficile, lo so. Prima il lockout, che stava quasi per farti cambiare idea sul trasferimento nella NBA ancor prima di cominciare, ma per fortuna Nelson e Perot sono volati fino a Würzburg per dimostrarti quanto si forte la fiducia che la società ripone in te, forse ancor più di quella che tu stesso credi di meritare. Poi gli avversari americani, che sembra quasi stiano facendo il possibile per farti fare brutta figura, quasi volessero dimostrare a tutti che un europeo non potrà mai venire ad insegnare loro come si gioca a basket.

Anche i giornalisti USA non sono stati particolarmente teneri, ti hanno soprannominato “Irk” Nowitzki perchè dicono che la D di Difesa tu non sappia nemmeno come scriverla. Non farci caso, sono sicuro che presto riuscirai a far cambiare idea a tutti. Forse sei un po’ frastornato dai ritmi e la fisicità che caratterizzano questa Lega, ma hai comunque già fatto vedere diverse cose interessanti e mi pare che con quell’altro biondino canadese tu stia sviluppando un buon rapporto. Si vede da come vi guardate in campo, sono certo che avere un amico in squadra potrà aiutarti nelle giornate più difficili. Tieni duro, perché la tua avventura è appena cominciata.

 

Venerdì 11 Maggio 2001

Caro Dirk.

Le cose iniziano a cambiare, no? Quasi 22 punti e oltre 9 rimbalzi di media… dove sono adesso gli espertoni che ti bollavano come “pacco” solo dopo qualche mese? Ora già cominciano a dire che non si era mai visto un giocatore così alto tirare così bene, che sei un potenziale uomo franchigia, etc… Vabbè, lasciamo da parte le polemiche: sono arrivati i primi playoff della tua carriera e hai subito conquistato uno scalpo eccellente.

Gli Utah Jazz di Stockton e Malone solo pochi anni fa facevano sudare sette camicie ai Chicago Bulls di His Airness Michael Jordan, ma li abbiamo (scusa il plurale ma ormai mi sento parte integrante del team ) mandati a casa senza troppi complimenti. Ok, dopo è arrivata la sconfitta contro gli Spurs (mi stanno un po’ sulle palle questi, speriamo di non doverli incontrare mai più) ma di certo i nuovi Mavs stanno cominciando a far paura a molti. Ormai tu, Nash e Finley siete ufficialmente i nuovi Big Three, manca ancora qualche pezzo e poi potremo puntare davvero al bersaglio grosso.

Ah, a quanto pare abbiamo anche un nuovo proprietario. Questo Mark Cuban sembra un tipo simpatico, di certo non è il classico owner ingessato e poi cavolo, sembra che ci tenga davvero. In panchina pare un tifoso invasato, speriamo voglia aprire i cordoni della borsa e sfruttare al massimo il gruppo che si è creato in questi anni. Non so tu ma io ho sensazioni davvero positive riguardo al futuro.

 

Lunedì 16 Maggio 2005

Caro Dirk.

Ho continuato a temporeggiare sperando di poterti scrivere per festeggiare il tuo primo anello di campione NBA e invece… Prima ci si sono messi i Sacramento Kings, che nel 2002 ci hanno buttato fuori prima di suicidarsi in Gara 7 della finale dell’Ovest contro i Lakers. Poi nel 2003, quando dopo aver rischiato di subire una clamorosa rimonta avanti 3-0 al primo turno contro i Blazers ed esserci vendicati sui Kings in Gara 7 di semifinale, un maledetto scontro fortuito con Ginobili in Gara 3 ti ha costretto ad abbandonare anzitempo le finali di conference, lasciando di nuovo il campo libero a quegli insopportabili “cugini” di San Antonio. Quella è stata veramente una sfortuna, sono sicuro che con te in campo gli Spurs non avrebbero avuto speranza. Nel 2004 a rompere le… uova nel paniere sono stati ancora i Kings, che a quanto pare si esaltano quando vedono le maglie dei Mavericks ma poi finiscono sempre per fallire sul più bello (sempre in gara 7, stavolta contro Minnesota).

E infine quest’anno, il 2005. Ecco, questa credo sia stata per te la sconfitta più difficile da digerire. La partenza del tuo grande amico Steve Nash nell’estate scorsa ha lasciato sicuramente un grande vuoto, nel tuo cuore come in quello di tutti i tifosi di Dallas (compreso il mio). Vederlo andare a Phoenix è stata dura, dover ingoiare la sconfitta proprio contro i Suns all’overtime di Gara 6 delle semifinali di conference lo è stato ancora di più. Certo, dal punto di vista individuale in questi quattro anni sei andato veramente alla grande, all’All Star Game hai sempre una maglia che ti aspetta con il tuo nome dietro e sei ormai riconosciuto come uno dei più forti giocatori dell’intera Lega. Ma so che a te non interessano più di tanto i riconoscimenti individuali: tu vuoi vincere, vuoi portare i Mavericks al primo titolo della loro storia. Abbi fede e ce la faremo, è solo questione di tempo.

 

Sabato 28 Aprile 2007

Caro Dirk.

Ti chiedo scusa. Non ho avuto abbastanza cuore per scriverti dopo la sconfitta nelle NBA Finals del 2006, quando a pochi metri dalla terra promessa Wade, Shaq e Riley (e gli arbitri) ci hanno strappato di mano quel trofeo che sembrava così vicino. Per notti intere non sono riuscito a dormire, frustrato da quelle quattro sconfitte consecutive il cui ricordo è ancora così duro da sopportare per me, figuriamoci per te.

Lo faccio però adesso, quando è ancora fresca la delusione per l’incredibile upset subito al primo turno da quella banda di pazzi dei Golden State Warriors di Baron Davis, Stephen Jackson e del nostro ex coach Don Nelson. E chissenefrega del titolo nel Three Point Contest all’All Star Game, della Gara 7 di semifinale vinta finalmente contro gli odiati Spurs, dei 50 punti in Gara 5 della finale di conference contro Phoenix, del record di franchigia di 67 vittorie, del primo quintetto NBA e persino del titolo di MVP della Lega. Nessuno di questi traguardi credo che al momento ti interessi granché, perché avrai in mente soltanto le cocenti delusioni subite ai playoff in questi due anni. Ecco, oggi ti scrivo per dirti soltanto una cosa: NON MOLLARE!

Non lasciarti prendere dallo sconforto, perché per quanto possa bruciare questa eliminazione non è la fine. Prenditi un po’ di tempo per staccare dalla pallacanestro, magari fai un viaggio (ho un amico che è stato per un mese in giro zaino in spalla in Australia ed è tornato completamente rigenerato, potrebbe essere un’idea) e per qualche settimana cerca di non pensare al basket. Ma quando tornerai, devi gettarti tutto alle spalle e ricominciare a lottare. Nash se n’è andato (anche lui ha vinto un titolo di MVP della Lega ma aspetta ancora il suo primo anello), Finley pure, resti solo tu a guidare questo gruppo e quindi hai la responsabilità di rialzarti per primo e riprendere a tirare nella direzione giusta. Noi ti aspettiamo: torna e sii il leader e il vincente che dentro di te sai di poter essere.

P.S. Tanto per essere chiari: ODIO AVERY JOHNSON!!! È un insopportabile incapace e se lo incontrassi per strada lo metterei sotto con la macchina. Spero solo che Cuban lo cacci subito a pedate e che prenda un allenatore come si deve prima che sia troppo tardi.

 

Lunedì 13 Giugno 2011

Caro Dirk.

Non ho parole. Seriamente, sono passati diversi minuti dal suono della sirena finale di Gara 6 delle NBA Finals a Miami e ancora non riesco ad emettere alcun suono, la gola bloccata da tutte le emozioni vissute in questi ultimi quindici giorni. Ma ti voglio scrivere subito, prima che questo turbinio si attenui per trasformarsi nel sorriso ebete che so mi accompagnerà da qui alle prossime settimane.

Quello che avete fatto in queste Finali è stato eccezionale. La straordinaria rimonta in gara 2, sotto di 15 punti a poco più di 7 minuti dal temine, quella in Gara 4 con i tuoi canestri decisivi nel quarto quarto nonostante la febbre a 38, l’esplosione di Terry in Gara 5 e le sue triple in faccia a LeBron, il super primo tempo dei tuoi compagni in Gara 6 e il tuo sigillo nel finale.

Hornets, Nuggets e Spurs: negli anni precedenti queste tre squadre hanno nuovamente spento sul nascere i nostri sogni di gloria, ma soltanto perché non eravamo ancora pronti, perché i pezzi del puzzle non erano ancora tutti perfettamente al loro posto. Blazers, Lakers, Thunder e Heat (che fantastica vendetta sportiva!) sono stati invece le tappe del percorso che ci hanno condotto finalmente al tanto sospirato anello, il primo per te, per la franchigia, per tutti.

Jason Terry (lui e il suo tatuaggio del Larry O’Brian Trophy, fatto profeticamente proprio qualche giorno prima della partenza di questa stagione) Shawn Marion, Tyson Chandler, Jason Kidd, JJ Barea, Ian Mahinmi, DeShawn Stevenson, Peja Stojakovic, persino quel pazzo assassino di Brian Cardinal e soprattutto quel fottuto genio di Jim Carr… ehm, Rick Carlisle. Ognuno di loro ha portato il suo personale contributo in questa cavalcata vittoriosa, ma nessuno mai potrà mettere in dubbio che senza i tuoi meravigliosi playoff non saremmo qui a festeggiare questo incredibile titolo, che se tu non fossi un signore potresti sbattere in faccia ad un sacco di persone.

In faccia ai bookmakers, che già ci vedevano sfavoriti al primo turno contro i Balzers. In faccia agli analisti, che credevano che i Lakers avrebbero fatto un sol boccone di noi “perdenti”. In faccia alla gioventù dei Thunder, che credevano sarebbe bastata solo la freschezza delle loro gambe per superare una banda di vecchietti. E in faccia ai Big Three di Miami, che recitavano “Not five, not six, not seven…” ma che ora siedono inconsolabili nei loro spogliatoi.

In quello stesso palazzetto, solo pochi metri più in là, ci sono le tue lacrime. Lacrime di gioia, di soddisfazione ma anche di liberazione, perché ora finalmente nessuno potrà mai più permettersi di affibbiarti quell’odiosa etichetta di “loser con cui i supposti esperti classificano i grandi giocatori mai in grado di iscrivere il loro nome nell’albo d’oro della NBA. Come se in uno sport di squadra potesse essere un singolo giocatore, per quanto forte, a determinare la vittoria di un campionato o come se il fatto di non aver mai vinto un titolo potesse trasformare automaticamente in perdente un dieci volte All Star da oltre 20.000 punti in carriera.

Con questo anello e questo titolo di MVP delle finali ti sei tolto davvero un gran peso dalle spalle e ora è il tempo di festeggiare. Perché, come cantavano i Queen, oggi finalmente “We are the Champions”. 

 

Martedì 15 Maggio 2014

Caro Dirk.

Non ti scrivo da un po’. Dopo l’orgia di emozioni del 2011 sono stati anni un po’ sottotono, complice lo smantellamento del nucleo della squadra (prima Chandler e Barea, poi Kidd, Marion e Terry) e un nuovo ciclo che stenta a decollare. Tu continui a produrre prestazioni di assoluto livello (siamo a 26.710 punti and counting) ma il tempo ovviamente passa anche per te e sono arrivati i primi infortuni, dovuti ad un chilometraggio complessivo che comincia a farsi piuttosto elevato, e i risultati della squadra ne hanno ovviamente risentito.

Un cappotto contro OKC al primo turno nel 2012, prima di una stagione 2013 che si è conclusa addirittura senza playoff dopo oltre 12 anni. Quest’anno nonostante le difficoltà abbiamo fatto sudare le proverbiali sette camicie ai soliti Spurs, poi campioni NBA sostanzialmente in carrozza, per cui non credo ci sia nulla di cui rimproverarsi. Oggi hai firmato un rinnovo contrattuale di cui nessuno ha mai dubitato e che ti legherà ai Mavericks fino alla fine della tua straordinaria carriera. Mark Cuban ha detto che sarebbe disposto a rinnovarti anche fino a 73 anni, non posso che essere d’accordo con lui.

 

Martedì 07 Marzo 2017

Caro Dirk.

Che dire di questi ultimi tre anni? I risultati di squadra non sono stati entusiasmanti: due eliminazioni al primo turno da Rockets e Thunder e quest’ultima stagione conclusa con il primo record perdente dai tempi del tuo anno da rookie. Anche le prospettive per il prossimo futuro non sono un granché, siamo in fase di rebuilding e temo ci rimarremo per un po’. Ma dal punto di vista personale hai vissuto questo triennio in una immaginaria corsia di sorpasso, sfrecciando accanto alle più grandi leggende che abbiano mai calcato i parquet della Lega. L’11 Novembre 2014 hai superato il grande Hakeem Olajuwon al nono posto nella classifica dei realizzatori di tutti i tempi, diventando contemporaneamente il primo non-americano per punti segnati nella storia della NBA.

Il 26 dicembre dello stesso anno è stato il turno di Elvin Hayes, mentre il 5 Gennaio 2015 è toccato a Moses Malone finire nel tuo specchietto retrovisore. Entro la fine della stagione hai sfondato quota 28.000 punti e 10.000 rimbalzi, mentre il 23 Dicembre del 2016 persino il grande Shaq ha dovuto cederti la sua posizione in classifica. In mezzo a questa corsa verso l’immortalità cestistica hai persino trovato il tempo, a 37 anni suonati, di piazzare un quarantello contro i Portland Trail Blazers. Roba da superuomini…

Ma il momento più bello di questo triennio è stato sicuramente quello vissuto il 7 Marzo 2017, quando con l’ennesimo “tiro della cicogna” hai superato quota 30.000 punti, con le lacrime sugli spalti del tuo mentore Holger Geschwindner a mischiarsi a quelle di tutti i tuoi tifosi in giro per il mondo. Trentamila… un numero che si fa fatica ad immaginare e che solo tu e altri sei eletti siete stati in grado di superare. Complimenti leggenda!

 

Mercoledì 28 Febbraio 2018

Caro Dirk.

Siamo finiti nella merda per ben due volte in una sola settimana. La prima è stata quando Mark Cuban ha confessato di aver detto ad alcuni tra voi giocatori che da qui alla fine della stagione perdere sarebbe stata la migliore opzione possibile. Questo endorsement al tanking è stato gradito il giusto dai piani alti della Lega e Mark ha potuto ampliare la sua collezione di multe con un Gronchi Rosa da 600.000 dollari. Immagino come la cosa abbia potuto far piacere anche a te, che la parola “perdere” la apprezzi quanto la sabbia nel letto.

Ma il casino vero è legato al lungo reportage di Sports Illustrated, nel quale diverse donne hanno espresso pesanti accuse nei confronti dell’ex amministratore delegato dei Dallas Mavericks e di altri esponenti della franchigia. Si va dalle richieste di rapporti sessuali, ai commenti sessisti, al palpeggiamento durante le riunioni. In pratica hanno definito gli uffici dei Mavs “Animal House in the real life“.

In una tua intervista hai definito la scoperta di questo lato oscuro della tua franchigia come “deludente e straziante”, esprimendo nel contempo il tuo supporto a Cuban nel suo compito di scovare tutti i colpevoli e allontanarli al più presto. Posso immaginare che chi come te ha dato anima e corpo per questa franchigia possa sentirsi tradito, ma tu e i tuoi compagni presenti e passati non avete nessuna colpa, perché le stesse accusatrici hanno precisato come i rapporti con i giocatori e lo staff tecnico siano stati sempre impeccabili e permeati dal massimo rispetto. Questa vicenda rischia di sporcare per sempre l’immagine pubblica della nostra squadra, speriamo solo che possa essere fatta chiarezza e che i vengano tutti individuati e allontanati il più presto possibile.

E dire che in estate hai persino scelto di rinunciare ai 25 milioni che ti spettavano dall’accordo per questa stagione, accettando di trasformarlo in un contratto da 10 milioni in due anni con il fine unico di consentire alla franchigia di avere lo spazio salariale necessario per cercare di migliorare il roster (cosa che peraltro non è avvenuta). Non sono un enciclopedista, ma non credo che nella storia dello sport siano esistiti molti giocatori che hanno rinunciato ad una quindicina di milioni di dollari soltanto per amore verso la propria squadra.

Ai giorni nostri, soprattutto in un certo sport in cui si prende a calci una palla, si abusa molto spesso del termine “bandiera”: bastano un paio di baci alla maglia sotto la curva e l’etichetta è bella che assegnata. Peccato solo che nel mercato successivo molte di queste bandiere tendano a dimenticare i colori sociali della suddetta maglia, per concentrarsi più attentamente sul colore (e la quantità) delle banconote che gli vengono offerte. Ma tu… tu sei diverso. A leggere queste brutte notizie spero non ti sia pentito del tuo nobile gesto, perché puoi star sicuro che quanto hai fatto non sarà dimenticato. Non dalla Mavs Nation. Non da me.

 

Venerdì 11 Gennaio 2019

Caro Dirk.

Pochi minuti fa ho realizzato un sogno. Grazie al preziosissimo pass stampa che scrivere per Play.it Usa mi ha messo a disposizione, ho potuto incontrarti, salutarti e stringere la mano negli spogliatoi del Target Center di Minneapolis dopo la partita tra Mavericks e Timberwolves.Mani due spugne, salivazione azzerata, manie di persecuzione, miraggi.” Questa coltissima citazione dal primo film di Fantozzi descrive esattamente la mia situazione prima di chiederti se potevi fermarti per una foto. La mano tremava talmente tanto che lo scatto è venuto una vera schifezza, ma non mi serve una foto per fissare per sempre nella mia mente quel momento.

Tu eri inca**ato nero, dopo una partita chiusa con uno zero su otto dal campo, ma hai comunque accettato di fermarti e di sorridere all’obiettivo del mio cellulare. Grazie davvero, perché capisco quanto questa tua ultima stagione si stia rivelando difficile da portare a termine. Prima il problema alla caviglia che ti ha tenuto fermo fino a dicembre, poi un ritorno in campo molto difficile per una condizione fisico-atletica che oggettivamente non ti rende più in grado di competere ai livelli a cui eri abituato.

Sono ormai settimane che il pubblico di tutti i palazzetti della NBA ha deciso di celebrarti durante il tuo ultimo giro di giostra, ma nella sua ingenuità il tifoso medio non capisce che gli “Oooh” di entusiasmo quando tiri e le standing ovation quando segni un canestro non sono quello che un campione come te vorrebbe ricevere in questi momenti. Sono sicuro che avresti voluto che quest’ultima stagione assomigliasse molto di più a quella di Tim Duncan che a quella di Kobe Bryant, ma nel corso di oltre vent’anni anni di NBA ti sei fatto talmente amare e rispettare anche dai tifosi avversari che oggi non possono proprio rimanere impassibili di fronte all’ultima occasione che avranno per vederti in azione sul parquet.

Mi viene in mente una famosa canzone dei Coldplay, “Viva la vida”, la cui prima strofa recita così:

“I used to rule the world
Seas would rise when I gave the word
Now in the morning I sleep alone
Sweep the streets that I used to own”

“Ero solito dominare il mondo
I mari si sollevavano quando io lo chiedevo
Ora dormo da solo al mattino
Spazzando le strade che una volta erano mie”

Ecco, credo che nel corso di quest’ultima stagione ti sia capitato varie volte di provare questa sensazione. Credo succeda a tutti quelli che sono stati dei dominatori nel loro sport, abituati nel corso della loro carriera ad essere dei protagonisti e ad essere guardati dagli altri con rispetto, timore, ammirazione.

Ma ricorda che, anche se oggi ti sembra di così difficile stare in campo contro tutti questi giovani, tu potrai sempre portarti dietro la consapevolezza di aver cambiato la storia di questo sport. Perché se vent’anni fa qualcuno avesse detto che un sette piedi tedesco di Würzburg proveniente dall’A2 tedesca sarebbe diventato campione NBA, MVP della Regular Season, MVP delle Finals e sesto marcatore di tutti i tempi, credo sarebbe stato internato di corsa nel primo manicomio disponibile.

Invece è successo. Invece sei arrivato in NBA e hai rivoluzionato la storia del basket. Invece sei diventato un modello a cui altre leggende come LeBron, Wade, Durant, Davis si sono ispirate per modellare il loro gioco. Invece hai fatto innamorare cestisticamente non solo me, ma centinaia di migliaia di persone. Invece… Invece sei stato Dirk Nowitzki. 

 

Mercoledì 10 Aprile 2019

Caro Dirk.

Siamo arrivati all’ultimo capitolo della tua straordinaria storia. Questa notte (come hai annunciato tu stesso ieri sera prima di scriverne TRENTA sul tabellino di addio al tuo pubblico di casa) chiuderai la tua carriera di giocatore professionista di basket e lo farai, oltre a tutto il resto, da leader assoluto di punti, rimbalzi, stoppate, tiri da due, tiri da tre, tiri liberi, partite e minuti giocati nella storia dei Dallas Mavericks.

Prima di te (e forse nemmeno dopo) nessun giocatore è mai stato così indissolubilmente riconosciuto come il volto e l’anima di una franchigia. Tu SEI i Dallas Mavericks e pensare a questa squadra senza di te è praticamente impossibile. Spero che il tuo futuro preveda un ruolo all’interno dell’organizzazione, non sarà la stessa cosa ma sarebbe comunque bello continuare a vederti al palazzetto di Dallas, seppur in borghese.

Qualche settimana fa hai superato anche l’immortale Wilt Chamberlain e concluderai quindi la tua straordinaria carriera al sesto posto assoluto tra i migliori realizzatori di tutti i tempi, con oltre 31.540 punti (dipende da quanti ne farai stasera nella tua ultima partita, che per ironia della sorte giocherai sul parquet degli arcirivali San Antonio Spurs) realizzati in ventuno, lunghissime e meravigliose stagioni.

Lasci una squadra che farà fatica a colmare un vuoto fatto non soltanto di punti e rimbalzi, ma soprattutto di cuore, carattere e leadership. Per fortuna sembra che proprio quest’anno abbiamo pescato al draft un ragazzo decisamente speciale, con il quale (non a caso) sembra tu abbia sviluppato subito una bella amicizia e che ti vede come suo mentore e maestro. Questo giovane sloveno è pronto a raccogliere la tua eredità e per aiutarlo la dirigenza ha portato a Dallas anche un altro giocatore europeo, un lettone che palesemente si è ispirato a te per modellare il suo gioco e che potrebbe essere uno di quei giocatori che definiscono un’intera generazione.

Ecco, Luka Doncic e Kristap Porzingis hanno tutto quello che serve per riportare questa franchigia nell’olimpo della NBA, ma è probabile che durante il percorso avranno bisogno di qualche consiglio, quindi per favore stai vicino ad entrambi e aiutali a rimanere sulla retta via.

Per il resto che cosa posso dirti? Nelle lettere che ti ho inviato in questi ventuno anni trovi un compendio delle emozioni che mi hai fatto provare: rispetto, ammirazione, frustrazione, rabbia, gioia, felicità, ma soprattutto amore. Amore per il gioco del basket, per i Dallas Mavericks e per quel tuo tiro fatato che così tante volte ha accarezzato le reti dei canestri avversari.

Domani forse non sarai più un giocatore di basket, ma di certo nella mia mente il tuo ricordo non invecchierà mai. Grazie… di tutto.

Tuo per sempre, Giorgio

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7for7 NBA

7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×23)

Siamo arrivati alla penultima puntata stagionale di 7for7 (ma non disperate, più avanti ci saranno i tanto amati playoff ignoranti) e all’ultima per il sottoscritto, per cui ve lo dico chiaramente in anticipo: scordatevi qualunque speranza di leggere lungimiranti pronostici per la postseason o approfondite disamine tecniche su chi vincerà l’MVP, perché nelle prossime righe troverete quasi esclusivamente corbellerie e facezie di dubbio gusto che con l’NBA hanno giusto quel minimo collegamento necessario a non classificare questa rubrica sotto la categoria “Altro”. Fatta questa doverosa premessa, “Venghino Siori venghino, che più gente entra e più bestie strane si vedono”. (cit)

 

LUNEDI 25 MARZO – NBA ENDGAME

La settimana purtroppo comincia su una nota triste, perché il video (da non guardare assolutamente se siete deboli di stomaco) della gamba di Jusuf Nurkic che si sbriciola non può che far stringere il cuore. Al centrone serbo dei Blazers ovviamente vanno i nostri migliori auguri di una pronta guarigione, mentre per Portland (che al momento ha fuori anche CJ McCullom) si prospetta un’altra avventura piuttosto corta ai playoff.

Detto per dovere di cronaca dei 59 punti messi a segno da Devin Booker contro i Jazz (peraltro utili come un lecca-lecca al gusto di guano, dato che i suoi Suns la partita l’hanno persa di 33), la partita di Salt Lake City è stata rilevante soltanto per la meritata standing ovation che il pubblico di casa ha riservato all’ingresso in campo di JimmerFredette. Il prodotto di BYU è un’autentica leggenda non soltanto nello stato dei mormoni ma anche all’interno della redazione di 7for7, quindi ci uniamo virtualmente al pubblico di casa per festeggiare il roboante 1 su 10 dal campo (vabbè sarà stato emozionato) con il quale Jimmer ha bagnato il suo ritorno sui parquet dello Utah.

Il titolo di eroe di giornata va però meritatamente a Spencer Dinwiddie, che nella giornata di lunedì ha ufficialmente richiesto all’NBA di spostare tutte le gare del 26 aprile per permettere a tutti di andare al cinema a vedere la prima di Avengers: Endgame. Per quella data sarebbero previsti i playoff ma ci sentiamo di unirci all’appello proposto dal playmaker dei Nets, perchè giustamente ubi Thanos, minor cessat.

Se il mondo della NBA si fondesse con quello della Marvel, Thanos potrebbe essere uno e uno solo

 

MARTEDI 26 MARZO – LANCE DANCE

La notte di martedì ha visto andare in scena lo scontro frontale tra i due principali candidati al titolo di MVP stagionale (e i relativi social media manager), ossia Giannis Antetokounmpo e James Harden. Scontro che è stato vinto dal primo, con i Bucks che si sono imposti di fronte al pubblico amico con il punteggio di 108 a 94. Un po’ inferiore alle attese il matchup tra gli attori protagonisti: 23/10/7 per il Barba (ma con 9 su 26 dal campo) e 19/14/4 per il Greek Freak, che comunque resta in pole position per il Maurice Podoloff Trophy, non foss’altro perché Harden lo ha già ricevuto lo scorso anno mentre Giannino è ancora a quota zero.

Molto più interessanti, perlomeno per la redazione di 7for7, della partita tra due superpotenze NBA sono però state le interviste rilasciate ieri da due giocatori NBA, uno ex e l’altro quasi. Nella prima il povero Kris Humphries reclamava sulle pagine di The Player’s Tribune il suo diritto a non essere ricordato soltanto come l’ex di Kim Kardashian (sorry Kris, ma qui butta proprio male), mentre nella seconda un immortale Andrew Bogut ha dichiarato a The Athletic che l’introduzione nella sua routine quotidiana di “a lot more beer” sia stata determinante per il suo ritorno nella NBA.

Ma la dieta a base di birra di Bogut e i rimpianti di Kris Kardash… ehm Humphries sono stati purtroppo superati in dirittura d’arrivo dalla prodezza di Lance Stevenson, che ha mandato clamorosamente al bar il povero Jeff Green con un letale crossover scatenando l’incontenibile esultanza dei suoi compagni della panchina. Compagni tra cui non mi pare di scorgere LeBron, che temo al momento non sia dell’umore giusto per festeggiare la sua prima assenza dai playoff dai tempi delle scuole elementari. Ma Lance è pure sempre Lance.

Come dite? Avevo scritto sopra che avrei evitato come la peste il basket giocato? Dai su, questi Lakers (che pare stiano pensando a Tyronn Lue come nuovo capoallenatore, no dico TYRONN LUE!!!) mica saranno una vera squadra di pallacanestro…

Cosa importa della postseason quando ci sono i balletti di Lance?

 

MERCOLEDI 27 MARZO – LEGENDS OF TOMORROW

Sono un po’ depresso, perché in barba ai miei buoni (o cattivi) propositi oggi non ci sono interviste idiote o esilaranti balletti di cui parlare ma soltanto basket più o meno serio, sempre se volete considerare tale quello giocato dai Phoenix Suns che anche stanotte ne hanno fatti fare 50 a Booker prendendone però 124 dai Washington Wizards.

Mi tocca quindi fare il bravo reporter e rendicontarvi di cose noiosissime tipo:

  • Kevin Durant che fa 12 su 13 dal campo contro i Grizzlies
  • I Thunder che compilano un parziale di 24-0 contro i Pacers
  • Mike Conley che diventa leader ogni epoca a Memphis per punti segnati

“Ma chissene” direte giustamente voi, che siete qui per leggere di teorie terrapiattiste, fidanzamenti delle Kardashian e dinosauri da compagnia. Per tentare di addolcirvi l’amaro calice mi aggrappo ad un trio di leggende: Chris Bosh, Dwyane Wade e Dirk Nowizki. Il primo ha visto proprio ieri ritirata la sua maglia numero 1 dalla franchigia di Miami, gli altri due appenderanno le scarpe al chiodo a fine stagione e hanno entrambi dichiarato di essere stati un reciproco stimolo a migliorarsi in tutto il corso delle loro straordinarie carriere.

Ma tutti e tre si ritroveranno presto nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame a condividere la gloria eterna che spetta a chi ha lasciato un segno indelebile nella storia del gioco, stavolta quello serio per davvero.

Modalità “lacrimuccia” ON

 

GIOVEDI 28 MARZO – DUNCAN COMEDY TOUR

Nella notte dell’ultimo scontro tra due delle leggende citate poco più sopra (i Miami Heat di Wade hanno battuto i Dallas Mavericks di Nowitzki 105 a 99), un altro tra i più iconici giocatori della sua generazione vedeva la sua maglia alzarsi per raggiungere il soffitto dell’AT&T Center di San Antonio.

Emanuel David Ginóbili è stato uno dei pilastri di quello che è stato (ed è attualmente, visto che i neroargento non mancano i playoff da quando ancora frequentavo le scuole superiori) uno dei cicli più vincenti nella storia dello sport americano. Il nativo da Bahìa Blanca ha collezionato con gli Spurs ben 4 titoli NBA (oltre ad un oro e un bronzo olimpico, un’argento mondiale, un’Eurolega e altre quisquilie simili) formando con Tim Duncan e Tony Parker un trio di campioni con pochi eguali nella storia del gioco.

Momento clou della cerimonia per il ritiro della maglia del Narigòn è stato comunque lo sketch nel quale proprio quell’esilarante stand up comedian di Duncan (che a quanto pare ultimamente ha deciso di darsi anche al kickboxing) ha ricordato quando al draft del 1999 ha sentito per la prima volta il nome di Ginobili e ha pensato: E chiccazz’è questo?. Risate veramente grasse.

https://www.youtube.com/watch?v=pG4c48gzsTs

Niente da fare, quando uno è un comico nato…

 

VENERDI 29 MARZO – SHOOT DRAYMOND SHOOT

Mentre Kyrie Irving (al quale a quanto pare sarebbero parecchio interessati anche i New Jersey Nets, ma nel caso meglio mettersi in fila) vergava il proprio autografo sull’importante vittoria idei Celtics sui Pacers e LeBron James aggiornava il suo personalissimo cartellino nelle sfide contro Kemba Walker portandolo sul 28-0 prima di ritirarsi a vita privata fino alla prossima stagione, al Target Center di Minneapolis andava in scena una partita insospettabilmente tirata tra la virtuale numero uno del tabellone ad Ovest e una squadra che i playoff li vedrà comodamente dal divano di casa.

È servito infatti un overtime per decidere la vincitrice tra Warriors e Wimberwolves, con i secondi che si sono imposti a sorpresa sui campioni in carica grazie ad una arci-dubbia chiamata della terna arbitrale contro Kevin Durant sulla sirena che decretava la fine dei primi cinque minuti supplementari e con il punteggio inchiodato sul 130 a 130.

La giocata più bella della gara non è stato però l’1/2 con cui Karl Anthony Towns ha sigillato la vittoria dei suoi ma la difesa a “zona di quarantena” con la quale KAT ha contestato (vabbè) il potenziale tiro (ri-vabbè) di Draymond Green, che intimidito da cotanta pressione ha preferito passare la palla.

Roba che manco mio nonno di 87 anni al campetto viene trattato così…

https://www.youtube.com/watch?v=MHRmQ3YOUOo

Notare il gesto sprezzante con la mano fatto da Towns nei confronti di Green.

 

SABATO 30 MARZO – BOBI RIDES THE BUS

Dall’inizio della stagione ad oggi, in questa rubrica ho parlato talmente tante volte degli incredibili numeri di Harden da averne letteralmente il vomito, ma il Barba continua imperterrito a riscrivere la storia degli almanacchi NBA. Nella fattispecie, con il 50/11/10 messo a segno nella partita di sabato contro i Kings ha aggiornato in questo modo il conteggio delle triple doppie ai 50 nella storia della NBA:

  • James Edward Harden Jr = 5
  • Resto degli esseri umani dai dinosauri ad oggi = 9

Vabbè. Siccome sui guai giudiziari di Porzingis preferisco soprassedere, sui Chicago Bulls che si presentano in campo con un quintetto di scappati di casa composto da Shaquille Harrison + Brandon Sampson + Wayne Selden + Ryan Arcidiacono + il gemello scarso dei Lopez per decenza pure, mi resta da riportarvi un’altra curiosa statistica.

Ai Philadelphia 76ers a quanto pare ci sono due giocatori, un play e un centro, agli antipodi della pericolosità oltre l’arco dei 7 e 25. Uno dei due è titolare di uno 0/16 in carriera che lo rende virtualmente il peggior tiratore nella storia del gioco. L’altro al momento tira le triple con il 50% di realizzazione e quindi matematicamente meglio del 47.1% di Joe Harris, miglior tiratore della Lega e campione in carica nella gara del tiro da tre all’All Star Game.

I nomi per favore metteteli voi che a me scappa troppo da ridere.

https://www.youtube.com/watch?v=yKAKzwyqVJ4

Phila abbiamo un problema… ma bello grosso.

 

DOMENICA 31 MARZO – BYE BYE BRACKET

E per chiudere in bellezza (?) eccovi il post muto di un tifoso di Duke a caso (tipo me) dopo la sconfitta dei Blue Devils di stanotte contro Michigan State.

https://www.facebook.com/bleacherreport/videos/259814481564505/?v=259814481564505

Ma porc…

 

Ecco che siamo arrivati al momento dei saluti finali. Andrea Cassini sarà ancora qui tra una decina di giorni per l’episodio finale di questa stagione, ma io anticipo i miei ringraziamenti a quei due/tre lettori affezionati che ci hanno seguito anche quest’anno nelle nostre folli divagazioni extracestistiche (molto extra e poco cestistiche). Grazie di cuore e che le Kardashian siano con voi! O forse meglio di no…. Alla prossima stagione.

Jorghes out